VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

6 ott 2013

Paulo maiora canamus

Abbiate pazienza. Ma qui un po’ del latinorum di Renzo… ci vuole. Sto disperatamente cercando di non farmi bloccare lo stomaco dallo spettacolo misero e meschino che certa parte dei nostri politici, sottomessi ai capricci del padrone, ci sta elargendo, a piene mani, giorno dopo giorno. La presunzione e l’arroganza sembrano non avere confini.

Allora ho chiesto aiuto a un nostro antico poeta: se è stato capace di guidare Dante nel suo straordinario viaggio nell’al di là, ho pensato che con le sue parole può aiutarci ad alzare lo sguardo e a vedere un po’ di luce. Pàulo maiòra canàmus (= parliamo di cose un po’ più grandi) raccomanda Virgilio nelle Bucoliche. E noi ci proviamo.

Con la convinzione che anche a quel signore, come a ciascuno dei suoi, possiamo dire, con i monatti che accompagnavano Renzo: “Va’ va’, povero untorello, non sarai tu quello che spianti Milano”. Perché io credo, nonostante ce la stiano mettendo tutta, che né il grande evasore né i suoi servi riusciranno a distruggere l’Italia. Ne romperanno qualche osso, sì, ma anche ’sta volta ne usciremo: sicuri che tutto questo trambusto riuscirà a risvegliare chi, nella politica, sa ancora vedere l’arte del prendersi cura del bene comune.

 

Anche noi, intanto, restiamo svegli.

E ora paulo maiora canamus! Parliamo di cose un po’ più grandi.

 

Quest’anno la bambina di Michela va in prima elementare. E lei è felice perché nella classe di sua figlia ci sono quattro bambini stranieri. “Così – dice – fin da piccola impara a vivere in una società aperta anche a culture diverse dalla nostra. E chi sa quante cose potrà imparare da loro…”. Tante storie abbiamo sentito di genitori che addirittura hanno ritirato i propri figli da una certa scuola perché in quella classe la presenza di bambini stranieri poteva far rallentare i tempi di apprendimento. O di famiglie che, appena sanno che nella classe del figlio c’è un bambino disabile, si precipitano a fare comunella per andare dal Dirigente scolastico e cercare di ‘liberare’ il loro amato e piccolo genio da una presenza tanto ‘dannosa’ per la sua crescita. Ma di Michela, grazie a Dio, non ce n’è una sola.

 

Prima di uscire per andare alle fiere di S. Settimio, Cristina e Gabriele danno a ciascuno dei loro tre bambini cinque euro. È la loro quota-fiere: possono spenderla come vogliono. Accordarsi tra loro, parlarne con i genitori, decidere in totale autonomia. Poi insieme si mangeranno un bel pezzo di pizza. La loro famiglia non può permettersi di spendere oltre. Tanto più in questo periodo in cui il lavoro del babbo è piuttosto traballante. Questi genitori hanno il coraggio della verità. E in questo coraggio stanno crescendo i loro bambini.

C’è Federico che quando la mattina va al bar per la colazione e vede, lì davanti, il solito extracomunitario che chiede l’elemosina, invece che far finta di non vederlo e girarsi dall’altra parte, lo saluta e l’invita a fare colazione con lui. È poca cosa. Ma quel ragazzo, che chi sa quante ne avrà passate per arrivare in Italia, quel giorno può iniziare la sua giornata con un sorriso e un buon cappuccino.

Maria e Alfredo, due nonni quasi settantenni, si fanno in quattro per prendersi cura dei loro due nipotini di cinque anni. E della loro figlia. Che il marito, molto coraggiosamente (!?), ha lasciato quando i due bambini non avevano neanche un anno di vita. “Non sono più innamorato di te” le ha detto. E se n’è andato con un’altra, lasciandola sola con i suoi figli.

Marino, ogni mattina, con il suo vecchio scooter – perché lui non ha i soldi per comprarsi e pagarsi le spese di una macchina – si fa quasi un’ora di strada per andare a lavorare con i muratori. E altrettanta la sera per tornare a casa. Anche d’inverno. Ma ringrazia Dio e la vita che almeno adesso un lavoro ce l’ha: così può mandare avanti la famiglia e lasciare che sua moglie si prenda cura dei genitori infermi.

Mi fermo qui. Anche perché ciascuno di voi, di storie simili, ne potrebbe raccontare un’infinità. E, soprattutto, perché queste storie rappresentano il nostro quotidiano.

 

Sono queste, mi direte, le cose più grandi di cui volevi parlare? Sì. Sono queste.

E so di essere in buona compagnia a pensarla così. In compagnia di un antico e grande Maestro. Vissuto a Nazareth duemila anni fa. È lui che mi ha insegnato a guardare la vita così. Una volta, erano nel grande tempio di Gerusalemme, aveva richiamato i suoi: loro non si erano neanche accorti, ma era passata una donna e aveva messo qualche centesimo nella cassetta delle offerte. Quanto aveva dato quella donna nella sua povertà, diceva, valeva infinitamente più dei tanti soldi che ci mettevano i ricchi benestanti.

Poi non si stancava mai di ripetere che nel regno del suo Dio più grandi di tutti sono quelli che noi riteniamo più piccoli e più insignificanti.

 

Caro Virgilio, come vedi, non ci siamo dimenticati delle tue parole. Nonostante tutto, ancora paulo maiora canamus