12 ott 2014
Bambini come le nuvole...
Vanno
Vengono
A volte si fermano
Vengono
Vanno
Ritornano
E si mettono lì
Tra noi e il cielo
Sono parole che Fabrizio De André usa per dipingere le nuvole. Gliele chiedo in prestito perché sembrano perfette per cogliere la vita di tanti figli che migrano tra un genitore e l’altro quando questi non sanno più condividere la stessa casa. Bambine e bambini, ragazze e ragazzi con la valigia sempre in mano. Figli che non hanno una casa. “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo” (Mt 8,20) diceva duemila anni fa, rispondendo a un tale che voleva seguirlo, il Maestro di Nazareth. Altro significato avevano queste parole, complesso il suo discorso e difficile la sua risposta. Ma a me sembrano, anch’esse, capaci di dirci come vivono tanti figli di genitori separati.
Tre ragazzi, quindici, dodici e sette anni, dal lunedì al giovedì sono a casa del babbo e dal venerdì alla domenica dalla mamma. Salvo poi cambiare, la settimana successiva, in modo che il fine settimana stanno una volta qua e una là. Quattro giorni più tre. Tre più quattro. Così per tutto l’anno. Così, fino ad oggi, da cinque anni. Due gemellini, di quattro anni, dormono il martedì sera dal babbo, il mercoledì dalla mamma, il giovedì ancora dal babbo, e il venerdì dalla mamma. E il sabato e la domenica, anch’essi, una volta con l’uno e una con l’altra.
Sarà per il grande amore che questi genitori hanno per i propri figli? Sarà perché desiderano sopra ogni cosa stare insieme con chi hanno messo al mondo? No, non è così. Perché se davvero fosse questo il loro pensiero, questi figli, non solo sarebbero felici nel sentirsi tanto desiderati, ma, prima di tutto, non sarebbero messi nella condizione di eterni viandanti, passando dall’uno all’altra, senza sapere quale sia la loro casa.
Perché allora tanti genitori fanno vivere i figli come piccioni viaggiatori? Non è difficile intuirlo: è solo questione di soldi. Soldi? Sì. Soldi. Perché così, visto che i figli stanno con l’uno e con l’altra lo stesso numero di giorni e la stessa quantità di tempo, nessuno dei due deve passare l’assegno di mantenimento all’altro. Un bel trucco. Ma sulle spalle dei figli.
Poi c’è lui. Un uomo, cinquant’anni, separato dalla moglie. Hanno quattro bambini. Lei ha un lavoro, ma sono quattro mesi che i suoi milleduecento euro di stipendio non arrivano. La sua ditta è in crisi. Lei si fa in quattro pur di arrivare alla fine del mese. Ma lui soldi non ne ha, perché dice che non ha lavoro. Quindi ai figli non dà niente. Tutto qui. Problemi non se ne pone, tanto c’è la mamma che ci pensa. In realtà lui non si pone neanche il problema di starci con loro: quando gliene va, passa a casa e li prende qualche ora. Il giudice ha stabilito altre regole. Sì, ma a lui non importa. Le regole le fa da solo. Il pensiero di darsi comunque da fare per guadagnare qualcosa pur di aiutare questi bambini? No. C’è la madre che ci deve pensare.
Ancora. Luigi e Anna sono separati, con due bambini, uno di cinque e uno di tre anni e mezzo. Il più grande ha bisogno di cure particolari. La mamma cerca di seguirlo e farlo seguire dagli specialisti. Ma ogni volta è una lite. Perché se è lo specialista scelto dalla mamma a prescrivere una cura, a lui non sta bene. Lui non propone alternative: non ne ha. Ma delle spese e del lavoro da fare, anche a casa, per aiutare questo bambino nel recupero della salute, lui non ne vuol sapere. Si chiama fuori. Così la fatica raddoppia e la salute del figlio non fa progressi.
Figli soli, inascoltati, invisibili. Vanno. Vengono. A volte si fermano... Proprio come le nuvole. Vengono. Vanno. Ritornano... Ma non sono nuvole, che un momento ci sono e poco dopo svaniscono. Sono i nostri bambini. Prigionieri, tra i due adulti che li hanno messi al mondo. E che, catturati dalla conflittualità che li vede marito e moglie, dimenticano che i figli hanno bisogno di loro. Hanno bisogno che loro, gli adulti, imparino che, se come coniugi hanno deciso di separarsi e sono ancora incastrati nei loro conflitti, essere genitori significa saper mettere davanti agli occhi i figli. Saperli mettere prima anche dei loro disaccordi e delle loro liti.
Cari avvocati, io credo che sia compito anche vostro – non solo di noi psicologi o dei consultori familiari – guidare i vostri clienti a non dimenticare che i bisogni dei figli vengono prima di ogni altra questione. Tuteli pure, ciascuno, i propri interessi. Con la vostra assistenza. Ma prima ci sono i figli. Che loro hanno messo al mondo. E non possono dimenticare che, anche se separati come coniugi, resteranno sempre genitori. Con la loro piena responsabilità.