18 mag 2014
Bring back our girls
Riportiamo a casa le nostre ragazze! È il grido che sta unendo donne e uomini di gran parte dei paesi del nostro pianeta. Un mese fa, il 14 aprile, quasi trecento studentesse nigeriane sono state rapite dal movimento Boko Haram nello stato del Borno, in Nigeria. (Boko è parola della lingua hausa che significa educazione occidentale e Haram è parola araba che significa vietato o peccato).
I terroristi di Boko Haram (nome che significa L’educazione occidentale è peccato) rivendicano il rapimento in nome di Allah, anche se l’Islam, quello autentico, non solo non giustifica nessun rapimento, ma non promuove in alcun modo la discriminazione di genere, né sostiene che una donna non possa studiare o debba essere sposata a forza o, peggio ancora, debba ritenersi inferiore all’uomo.
Ma, si sa bene, perché la storia ce lo insegna, coprirsi dietro precetti o tradizioni religiose è stato e, purtroppo, continua ancora ad essere, un atteggiamento che in tante parti del mondo e in molte epoche storiche ha trovato e trova luogo e spazio per fiorire. La condanna a morte di Socrate, la crocifissione di Gesù, le persecuzioni religiose, le crociate, l’inquisizione, le guerre di religione, la Shoàh, la Sharìa… sono parole che richiamano alla memoria solo alcuni dei crimini che hanno accompagnato la storia dell’umanità. Crimini commessi, invariabilmente, in nome di Dio. Diversi erano i nomi con cui gli uomini di volta in volta Lo chiamavano, ma la sostanza era sempre la stessa: Dio lo vuole!
Povero Dio, imprigionato dalla sua stessa grandezza e generosità dal momento che nel mettere al mondo la sua creatura più alta, l’essere umano, ha deciso di donarle la libertà. Il libero arbitrio. La capacità di scegliere tra bene e male.
L’umanità, quella parte della natura più simile a Dio – così, secondo la maggior parte dei testi sacri – ma incapace di assumersi le proprie responsabilità, continua a nascondersi dietro il nome del suo Creatore per giustificare le proprie malefatte e meschinità.
Discriminati in nome di Dio. Il mondo ne è tuttora pieno. Anche a casa nostra, se l’onestà di pensiero ci permette un po’ di sincerità. Una volta è la donna, un’altra è il disabile, un’altra l’omosessuale, un’altra ancora il malato che ci costringe a misurarci con il peso della sua malattia. Di volta in volta le categorie possono variare, a seconda dell’epoca storica o della latitudine o del pensiero politico o della religione che professiamo. Ma il nome di Dio continua anche oggi, troppo spesso, a servire da ombrello protettore per sostenere le nostre idee e le nostre convinzioni. Quelle che ci fanno ritenere che noi siamo migliori degli altri. Che non siamo come loro.
Ricordate la storia che raccontava Gesù «per alcuni che si ritenevano giusti e disprezzavano gli altri»? Perfino nel tempio, pregando il suo Dio, il fariseo Lo ringraziava perché lui non era come gli altri uomini, ladri, imbroglioni, adulteri; non era neppure come quel disgraziato che se ne stava in fondo alla chiesa e non osava neanche avvicinarsi all’altare dal momento che si riconosceva con tutti i suoi limiti. Ma la parola di Gesù è tremenda: mentre quel ladro, che non solo riscuoteva le tasse per il nemico romano ma ci faceva anche la cresta, se ne torna a casa perdonato perché aveva saputo riconoscere il suo peccato, questo signore, perfetto e sicuro nella sua presunzione, rimane nella solitudine del suo giudizio, e non riceve neanche una parola (cfr. Luca 18,9-14).
Non facciamo confusione, però. Nessuna giustificazione di fronte a un crimine come questo che si sta perpetrando contro quelle ragazze nigeriane. Ma non possiamo nasconderci dietro il dito: noi non siamo come loro, i terroristi di Boko Haram!
Due pensieri, allora, per salutarci.
Il primo: per quanto piccola possa essere la mia voce e quella del nostro settimanale, credo che sia giusto unirla alla voce del mondo che sta gridando BRING BACK OUR GIRLS, riportateci le nostre ragazze! Non è possibile accettare che nel XXI secolo ci siano ancora uomini (maschi) che trattano la donna come merce da compravendita.
Il secondo, forse più difficile da cogliere, ma altrettanto importante: ricchi del libero arbitrio donatoci dal Creatore, teniamo sempre gli occhi ben aperti, attenti a vedere anche le nostre contraddizioni ogni volta che coltiviamo atteggiamenti discriminatori. Più o meno sottili o nascosti. A volte ammantati perfino da motivazioni religiose. Falsamente religiose. Sempre il Maestro ci ricordava che tutti, neri o bianchi, extracomunitari o europei, omo o eterosessuali, femmine o maschi, poveri culturalmente e pieni di limiti o colti e intelligenti, tutti siamo figli di quello stesso Padre che «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Matteo 5,45).