VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

23 feb 2014

Buon viaggio, Maria

Maria ci sta lasciando. Ora i suoi occhi sono chiusi. Il suo respiro sottile. Il volto sereno. Dorme. Dopo giorni tanto faticosi per il dolore che ne riempiva i minuti e le ore, quelli di luce e quelli oscuri della notte, ora tutto sembra calmo. È il silenzio che riempie gli spazi e gli sguardi che noi, lì, accanto a lei, ci stiamo scambiando. È difficile dire parole. Difficile, perché ogni parola porta con sé tutto il peso delle lacrime che invadono la mente e il cuore.

 

La condivisione della fatica ci aveva fatti avvicinare: quella fatica che la vita certe volte ci carica sulle spalle, e sembra che queste non ce la facciano, da sole, a reggerla tutta. E lei era venuta. Con la speranza che le mie spalle potessero aiutare le sue. Come quelle di quel contadino di Cirene sulle quali, duemila anni fa, un soldato romano, forse per pietà, aveva caricato quel pezzo di legno che le spalle di Gesù, da sole, non riuscivano a portare fino al Calvario.

Molte volte mi sono sentito amico quell’uomo che tornava dai campi, dopo una giornata di lavoro, e si era visto preso, al di là della sua volontà, a fare gli straordinari. Senza neanche la promessa di una retribuzione. Con l’unico ringraziamento – questo sì – di uno sguardo di riconoscenza che quel disgraziato, condannato a morirci sul quel legno di lì a poco, di sicuro gli ha saputo dare.

Incontro straordinario per quel contadino della Palestina. Come incontro straordinario, credo, può diventare ogni incontro nostro quando proviamo ad ascoltare la fatica che un qualche fratello ci chiede di condividere: un collega, un vicino di casa, un parente, uno sconosciuto che c’importuna per strada per venderci un paio di calzini o un pacchetto di fazzoletti.

 

Così era successo con Maria (che tutti noi, insieme, abbiamo incontrato anche su questa nostra pagina: era giugno di tre anni fa). Poi lei aveva continuato la sua strada: una famiglia, un lavoro, ragazzi di cui prendersi cura, senza limitare il suo compito ad insegnare la differenza tra il simple present e il present continuous. Ma nella costruzione costante e serena di una relazione che aiutasse i più giovani a guardare la vita, riscoprendo, giorno per giorno, che questa merita di essere vissuta: nella realizzazione dei propri sogni e dei propri desideri. Era questo il suo impegno. Questo il senso del suo lavoro. I suoi alunni erano diventati i suoi figli. Quelli che la malattia le aveva impedito di avere.

 

La malattia. Sì, inaspettata, ingrata, ingiusta dal nostro punto di vista. Le è piombata addosso. Come un terremoto. Senza neanche dare spiegazioni. Senza neanche dirci quale fosse il suo obiettivo, quale il suo compito. Quale la ragione che ne giustificasse la presenza. E ora è qui. Dopo anni di convivenza, in un tempo condiviso tra terapie e speranze, tra lavoro e riposo forzato. E sembra aver vinto la sua battaglia. Ora quel tempo che noi chiamiamo vita sembra arrivato alla fine.

 

Maria è lì. Distesa. Gli occhi chiusi e il respiro stanco. Tutto il suo corpo è affaticato: ci dice che sta chiudendo con questa vita. E nonostante la mente mi dica che questa è soltanto una parte della vita, una dimensione, nonostante questo, le parole non sanno trasportare i pensieri e i sentimenti senza impastarsi di lacrime.

Mi aveva chiesto di restarle vicino anche in questo momento. Io le dicevo sicuro che me ne sarei andato molto prima di lei: bastavano le nostre età per sostenere facilmente questo pensiero. Ma la sua anima vedeva ben oltre i limiti dell’età. E ora ci sono. Convinto che, se pure il suo corpo sembra assente, la sua anima è qui, ed è attenta a chi le sta intorno.

Così proviamo a parlare. Un pensiero, un ricordo, una preghiera che sia aiuto a vedere la Luce. Aiuto per lei. Ma aiuto anche per noi. “Se anche vado nell’oscura valle della morte, non temo alcun male, perché Tu sei con me” diceva al suo Dio, più di duemila anni fa, un uomo, una donna forse. Per rassicurare la sua anima che non avrebbe smarrito la strada perché era in buona compagnia, mano nella mano con il suo Creatore.

 

Le scienze umane dicono che ora lei non sente. È assopita. Fra poco la malattia la farà entrare in coma. Allora non potrà più svegliarsi. Lo dicono le macchine. Sofisticate, moderne. Capaci di cogliere segni che i nostri sensi non sanno percepire. Ma incapaci di cogliere quella dimensione spirituale che la nostra anima, se l’ascoltiamo, sa farci vedere e sentire.

 

Buon viaggio, Maria. E grazie del Buon Viaggio che anche tu, sicuramente, ci stai augurando. Sulla strada che, insieme, continueremo a percorrere.