VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

6 apr 2014

Dov'è la mia mamma?

Abbiamo due amici gay, sposati all’estero dove hanno avuto anche una bambina. La bambina è nata da una donna che ha ricevuto un ovulo fecondato con il seme di uno di loro. Alla nascita è stata registrata come loro figlia. Senza dubbio le vogliono un mondo di bene, ma a noi, mia moglie ed io, ogni volta che ci ritroviamo insieme e guardiamo questa bimba di tre anni, ci si stringe il cuore al pensiero che lei non ha una mamma (…).

Luca e Roberta

 

Abbiamo parlato altre volte su questo tema. Proviamo comunque a riprendere qualche pensiero.

Mi dispiace doverlo dire, ma io non vorrei essere al posto di questa bambina (che chiamerò Anna). Non ci vorrei essere perché c’è una domanda troppo forte nel mio cuore: perché a me non viene riconosciuto il diritto ad avere una mamma? Sì, ho due babbi che mi vogliono un mondo di bene. Ma dov’è la mia mamma? Dov’è quella donna che mi ha fatto crescere dentro di lei e mi ha partorito? Perché lei mi ha abbandonato? Perché io le sono stata portata via?

 

C’è una risposta a queste domande? Certo, noi sappiamo che tra quella donna e questi due uomini c’era un contratto: era scritto che al termine della gravidanza lei non avrebbe ‘riconosciuto’ la bambina come sua figlia e questa sarebbe stata ‘registrata’ come figlia dei suoi due babbi. Nulla da ridire sul piano legale: le leggi di quello Stato sono state rispettate.

 

Ma le leggi del cuore umano sono state rispettate? E non parlo del cuore che studiano i cardiologi. Quello è un organo. Preziosissimo. Ma niente più che un muscolo capace di far circolare il sangue per tutto l’organismo. Io parlo del cuore ‘luogo e fonte’ dei sentimenti. Né importa qui disquisire se la loro sede sia il cuore o il cervello o un qualsiasi altro organo o apparato. Qui è importante ricordare quanto questi, i sentimenti, siano determinanti per il nostro benessere e per vivere una vita sufficientemente sana e serena.

 

Abbiamo messo una bambina in una condizione innaturale. E ce l’abbiamo messa di proposito. Non è stato un incidente o una malattia che le hanno tolto la mamma. È stata una decisione programmata dagli adulti che hanno anteposto il proprio bisogno (quello di avere un figlio) a quello di una bambina (quello di avere due genitori: un babbo e una mamma) – è chiaro che qui bambina o bambino non fa differenza.

 

Qui dobbiamo fare attenzione, per non cadere in un equivoco. Perché ci troviamo di fronte a due diritti. Che, però, non possono essere confusi.

Da una parte c’è il diritto delle persone gay a vedersi garantita dalla società civile (e io credo anche da quella ‘religiosa’ se questa è una dimensione importante per loro) la scelta a vivere una relazione di coppia, legalmente riconosciuta. Come ogni altro essere umano. Con relativi diritti e doveri. Dall’altra c’è il diritto di un bambino ad avere un padre e una madre. E nel momento in cui due diritti s’incontrano (meglio, si scontrano), quello che deve prevalere è il diritto del più debole: in questo caso, del bambino. Perché gli adulti possono lottare per i propri diritti. I bambini no: non hanno la voce per farlo.

 

Nella situazione di Anna, poi, c’è un ulteriore aspetto da considerare. Il tempo della gravidanza è un tempo di crescita, condiviso tra la mamma e il bambino. È un tempo che non si esaurisce in una relazione puramente biologica (tra due corpi: quello di un bambino e quello di una donna). È un tempo in cui si costruisce anche una relazione affettiva (tra mente-cuore di due esseri umani: una madre e un figlio). Qualunque donna che abbia partorito ce ne parlerebbe con tutta la forza e l’energia di una madre. Nella pratica dell’utero in affitto (così essa viene chiamata) noi agiamo come se la relazione affettiva non esistesse.

Perché allora abbiamo ‘inventato’ questa pratica? Qui un grande e tremendo dubbio: perché stiamo rischiando di vivere, guidati dal pensiero che possiamo vendere e comprare qualunque cosa. Perfino i sentimenti e le persone.

 

Mi dispiace dover usare parole tanto dure. Ma io credo che abbiamo bisogno di svegliarci. E di riscoprire il valore e la dignità di un essere umano. Anche del più debole: come un bambino cui chiediamo di riempire i nostri ‘vuoti’ qualunque sia il costo per lui, o come una donna che si vede ridotta a un’incubatrice, costretta a vendere la propria maternità per un pugno di soldi.

 

Cara Anna, io lo credo che i tuoi due babbi ti vogliono “un mondo di bene”, come dicono Luca e Roberta, tuoi amici di famiglia. Tu ancora non lo sai, hai solo tre anni, ma a noi adulti capita spesso di confondere l’amore con l’egoismo. Allora oggi io ti faccio un augurio. Che tu, un giorno, sappia trovare la forza per perdonare i tuoi due babbi per non essere stati capaci di rispettare il tuo bisogno di bambina: avere un babbo e una mamma.

 

 

* Si può vedere anche Un bambino ha diritto a due genitori, Un bambino ha diritto a un padre e una madre, I diritti dei bambini e i diritti degli adulti,