16 nov 2014
Figli...
La mamma ha passato la notte in ospedale con il suo bambino e ora è a casa per riposare un po’. Sono le dieci del mattino e passano i medici per la visita nel reparto. Arrivati vicino al letto del bambino, il primario subito chiede, con voce forte: “Ma dov’è la madre?”. Così mi raccontava qualche giorno fa un giovane uomo. Che era proprio lì, accanto al letto del figlio. Per quel medico, responsabile di un reparto che si occupa di bambini, che lì ci fosse il padre sembrava non contare nulla.
Due settimane fa riflettevamo sulle scelte fatte da due grosse aziende, negli Stati Uniti, per favorire il congelamento degli ovuli delle giovani dipendenti. In altre parole, per incidere sui tempi di una donna nel mettere al mondo un figlio. Ci dicevamo come, in un’azienda, il fatto che una dipendente decida di diventare madre diventi un intralcio alla produzione. E alla carriera. Quindi una scelta di questo genere dev’essere subordinata alle politiche aziendali. La stampa di questi giorni ci riporta dati allarmanti dal lontano e moderno Giappone: otto donne su dieci, quando diventano madri, sono costrette a lasciare il lavoro; e una donna su quattro è vittima di mobbing anti-maternità.
Dove ci portano queste storie? A farci due domande.
La prima: di chi sono i figli?
Riascoltiamo quel medico che chiede dove sia la mamma e neppure si accorge che lì, con il suo bambino, c’è il babbo. Magari alla maggior parte di noi quella domanda appare del tutto normale. Perché? Perché nel nostro pensiero i figli sono solo della madre. Se poi vogliamo essere ‘buoni’, possiamo dire che i figli sono prima della mamma, poi, ma soltanto poi, sono anche del babbo. Magari questo pensiero non vi piace. Allora proviamo ad andare avanti. E ascoltiamo ancora il nostro linguaggio.
Di un uomo si dice che è un bravo padre perché aiuta la mamma nella cura dei bambini. Aiuta la mamma. Direste voi di una donna che è una brava mamma perché aiuta il babbo nella cura dei figli? No. Come non direste mai che una brava moglie aiuta il marito nelle faccende di casa. Perché, sempre nel nostro pensiero, il compito di prendersi cura dei figli, e della casa, è della donna.
Molte giovani mamme oggi possono dire che il marito le aiuta con i figli. E questo è un cambiamento importante nella vita di una famiglia se pensiamo a come andavano le cose solo una o due generazioni fa. Ma credete che potremmo sentire qualche giovane babbo dire che la moglie lo aiuta con i figli? No. E non pongo queste domande per dire che i due genitori devono essere ‘uguali’ in tutto e per tutto: tante cose faccio io, tante ne fai tu. No. È solo per dire che ancora dobbiamo farne tanta di strada per raggiungere una vera corresponsabilità, tra i due genitori, nella crescita di un figlio. E nella decisione di metterlo al mondo.
E ora la seconda domanda. Che è collegata alla prima: mettere al mondo un figlio è solo una faccenda privata o è una scelta che ha anche un valore sociale?
Noi lamentiamo che l’Italia è un paese in decrescita demografica. Nel 2013 il nostro sud ha avuto più morti che nascite. E il rinnovo della popolazione, al momento, è assicurato dagli immigrati che, ancora, fanno più figli di noi italiani. Forse che i nostri giovani soffrono di sterilità? No. Il punto è che fare figli non è considerato un valore sociale. Anzi, mettere al mondo un figlio diventa un carico, economico e sociale, che sta tutto sulle spalle della singola famiglia.
La mancanza di tutele per le lavoratrici che diventano mamme – parlo di mancanza concreta, non di quella scritta su leggi che sono ignorate, nella realtà, dal mondo del lavoro: la storia di giovani donne che si vedono costrette a firmare preliminarmente la lettera di dimissioni, che poi uscirà fuori quando sono incinte, non è storia da film di fantascienza o da romanzi rosa. La scarsa presenza di servizi per l’infanzia, i pochissimi posti negli asili nido e gli alti costi delle rette sono realtà conosciuta da tutte le giovane coppie quando hanno un bambino, e l’aiuto dei nonni non è sufficiente.
Due conclusioni allora.
La prima. Abbiamo ancora bisogno di lavorare nelle nostre famiglie perché il pensiero che i figli hanno due genitori, una madre e un padre, diventi sempre più realtà. Nella concretezza e nella condivisione del quotidiano.
La seconda. È ora che i nostri politici e i nostri amministratori, insieme con i sindacati, recuperino il valore sociale del mettere al mondo un figlio. Investire nei servizi per l’infanzia e consolidare la tutela delle lavoratrici madri dev’essere un impegno reale. A fatti. Non soltanto a parole.
Tutto questo è prendersi cura della famiglia.