8 giu 2014
Figli dello stesso cielo e della stessa terra
In India due cugine di 14 e 15 anni sono state violentate da un gruppo di sette uomini. Poi uccise. Appartenevano alla casta dei Dalit, gli intoccabili. In tutta l’India, una nazione di 1,2 miliardi di abitanti, avviene uno stupro ogni ventidue minuti.
Farzana Iqbal, una giovane di 25 anni, incinta di tre mesi, è stata uccisa a colpi di pietra e bastoni a Lahore, in Pakistan. A ucciderla sono stati suo padre, i due fratelli e il fidanzato designato, insieme ad altri che si sono aggiunte ai suoi familiari. Farzana si era rifiutata di sposare l’uomo che suo padre aveva deciso, sposando invece colui che lei si era scelta.
Meriam, 27 anni, è stata condannata a morte in Sudan perché non si è convertita all’Islam. Che è la religione di suo padre. Ora è in prigione e ha partorito la sua seconda bambina. Con lei è rinchiuso anche il primo figlio, Martin, di 22 mesi. Al momento la condanna è sospesa perché deve allattare la bambina: le hanno dato due anni di tempo.
Notizie di questi ultimi giorni. Sembra un notiziario di guerra. Ma non lo è. È molto peggio: è un notiziario di donne condannate a morte. Perché colpevoli. Colpevoli di essere donne.
Prima che andiamo avanti, però, per evitare di lavarci le mani con la ‘nobile’ motivazione che tutto questo avviene in paesi lontani dall’Italia, con altre culture e altre religioni, proviamo a ricordare che a casa nostra, nel nostro civile Paese, lo scorso anno sono state uccise, dai loro compagni o dai loro ex, 177 donne: una ogni tre giorni.
Lo so che tutte queste notizie messe insieme ci danno amarezza e la tentazione di girare lo sguardo da un’altra parte è forte. Lo è per me. Credo che lo sia anche per voi. Perché allora le ho riprese, mettendole una accanto all’altra? Perché io temo che se le guardiamo lasciando che il nostro sguardo cammini in superficie, ci perdiamo una riflessione. Che non possiamo lasciar andare.
Proviamo allora a chiederci perché avvengono simili fatti. Qual è la ragione che sottostà a gesti tanto assurdi e disumani. È proprio qui, credo, che rischiamo di cadere nella confusione e nella superficialità di giudizio.
È facile dire che in India la cultura delle caste, sostenuta da motivazioni che si rifanno a vecchie tradizioni religiose, dovrebbe essere ormai superata dal momento che questa nazione ha raggiunto livelli di conoscenze e di ricerca scientifiche al pari dei nostri paesi occidentali. Che ha radici di spiritualità così profonde che non è infrequente che noi stessi vi facciamo riferimento. Negli ultimi decenni molti dei nostri giovani si recavano in questo Paese alla ricerca di luce e di speranza di fronte alla crisi di valori che stavamo sperimentando.
È facile anche dire che Meriam è stata condannata perché cristiana, e fermare qui il nostro pensiero. È certamente vero: i giudici le avevano dato tre giorni di tempo per decidere di rinunciare al cristianesimo e di abbracciare la religione islamica. E di fronte al suo rifiuto hanno emesso la sentenza di morte.
Ma un’analisi più attenta ci permette di cogliere qualcosa di molto più profondo. E molto più pericoloso: tanto più quanto più rimangono in superficie le nostre valutazioni e i nostri interventi. Gli strumenti di analisi che l’antropologia culturale ci mette a disposizione sanno guidarci nel cogliere il substrato profondo, l’humus che alimenta e rende difficili da estirpare certe scale di valori (stereotipi) che continuano a sopravvivere nonostante le novità e le scoperte che la scienza e la tecnologia oggi mettono nelle nostre mani.
Cos’è che accomuna gli episodi che stiamo guardando? C’è un solo pensiero che li alimenta e li sostiene: la donna è proprietà dell’uomo. O, visto dall’altro lato: l’uomo è il padrone della donna. Che è la stessa cosa. Non c’entrano le religioni. Se non per il fatto che tradizioni religiose e cultura si alimentano a vicenda.
Un gruppo di uomini si sente autorizzato a violentare due ragazzine e a ucciderle senza farsi troppi problemi? Niente di strano. Se la donna (femmina) è proprietà dell’uomo (maschio), questi ne può fare quello che vuole e quando vuole! Una figlia si permette di sposare un uomo diverso da quello che per lei ha deciso suo padre? Il padre e i fratelli (maschi) possono fare di lei quello che vogliono. Anche toglierle la vita dal momento che essi ne sono i padroni. Perché Meriam deve abbracciare la religione islamica? Non perché questa sia migliore di quella cristiana (non è questa la motivazione dei giudici), ma perché l’Islam è la religione di suo padre. E lei, che è una donna, è tenuta a seguire la religione del suo padrone.
Centosettantasette uomini italiani si sentono autorizzati ad uccidere le loro compagne? La ragione è sempre la stessa: il padrone può fare ciò che vuole della sua proprietà.
Apriamo gli occhi! Vedremo che donne e uomini apparteniamo allo stesso mondo. Perché figli dello stesso Cielo e della stessa Terra.