20 apr 2014
Donne e uomini nella comunità di Gesù
Inaffidabili?
Sì, inaffidabili. Cioè non degne di fiducia. Così erano considerate le donne al tempo di Gesù. La loro testimonianza non aveva alcun valore nei tribunali. Il codice domestico prevedeva che le donne, i figli e gli schiavi dovevano essere sottomessi, rispettivamente, ai mariti, ai padri e ai padroni. La donna ebrea non aveva accesso all’istruzione. Non c’era per lei il Bar Mitzvàh (lett. Figlio del Precetto): il giorno in cui, a tredici anni, un ragazzo diventava adulto, quindi capace di leggere la Toràh (la Bibbia) e partecipe, a pieno diritto, nella società civile e religiosa. (Per completezza dobbiamo dire che oggi, dal 1920, nella tradizione ebraica è presente il Bat Mitzvàh (bat = ragazza): giornata analoga per la ragazza, a dodici anni).
Così inaffidabili, queste donne, che Gesù le sceglie come prime testimoni della sua resurrezione e affida proprio a loro il compito di andare da Pietro, Giovanni e tutti gli altri discepoli a portare questa buona, straordinaria e incomprensibile notizia! Ma Gesù, si sa, non amava sottomettersi a tradizioni e regole che non rispettassero la dignità dei figli di Dio. Figli e figlie di Dio. Al punto che diventa inevitabile che i custodi delle regole, disturbati e spaventati nel veder franare il loro potere, se lo giocano fino in fondo e decidono di farlo fuori. Fuori dalla comunità. E fuori dalla vita – così, almeno, essi pensano.
Ma, purtroppo per loro, fanno… i conti senza l’oste: la morte e l’umiliazione della croce che il ruolo di custodi della religione e della politica dava loro il potere di infliggere ai propri nemici, sono diventate strumento di Vita. In loro potere c’era la morte. Attraverso questa, Gesù ha portato la Vita. Nella sua pienezza.
E le prime persone che ha voluto incontrare in questo nuovo ordine delle cose – quello in cui la Vita è più forte della morte – sono proprio delle donne.
Ma che fine ha fatto questo insegnamento di Gesù? Come l’ha coniugato la comunità dei suoi discepoli? Quelli del suo tempo e quelli dei tempi futuri?
È interessante vedere come nei testi che hanno elaborato le prime comunità dei discepoli, e che a noi sono giunti sotto il nome di singoli autori (Matteo, Marco, Luca e Giovanni), la presenza delle donne come discepole di Gesù è una costante.
Nel Vangelo di Marco, il più antico, scritto intorno agli anni 70, leggiamo: «C’erano anche delle donne (…) che quando era in Galilea lo seguivano e lo servivano, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme» (15, 40-41). Le parole seguire e servire erano parole che definivano proprio i discepoli di un maestro. Un vero maestro, allora, non doveva sprecare il suo tempo con le donne: a loro era affidata la custodia della casa. La dottrina, lo studio, la politica e la religione erano ‘cose’ di cui dovevano occuparsi gli uomini. Riservate a loro soltanto.
Ma questo fatto, che cioè con Gesù ci fossero anche delle donne come discepole, era così evidente che anche Matteo e Luca, i cui testi sono stati scritti una quindicina d’anni dopo quello di Marco, quando ormai il codice domestico dell’epoca stava riprendendo il suo spazio anche nelle prime comunità di cristiani, non possono fare a meno di evidenziarlo. Nel Vangelo di Giovanni poi, scritto ancora più tardi, verso la fine del I secolo, troviamo che Gesù sceglie proprio delle donne per fare discorsi molto importanti per il suo Vangelo. Maria di Magdala, le sorelle Marta e Maria, la donna samaritana sono le persone con le quali Gesù s’intrattiene per parlare e portare aspetti fondamentali del suo insegnamento.
Ma la cosa che più colpisce è la sottolineatura che i Vangeli fanno della presenza delle donne nei momenti più forti della storia di Gesù. Alla sua morte. E alla sua resurrezione. Nel dramma e nella vergogna del Calvario c’erano loro con il Maestro: gli uomini, il sesso forte (!), se l’erano data a gambe. Nascosti «per paura dei Giudei». E sono ancora loro, le donne, che Gesù sceglie come prime testimoni della sua resurrezione.
Due domande, allora, possiamo farci oggi di fronte alle pagine dei Vangeli che incontriamo in questi giorni di Pasqua.
La prima mi riporta al pensiero con cui ci siamo lasciati proprio la settimana scorsa. Per ascoltare il Vangelo non basta l’intelligenza del cervello (= dei ragionamenti, della filosofia, della scienza). È l’intelligenza del cuore che abbiamo bisogno di riscoprire e coltivare. L’altra domanda mi porta a chiedermi se non sia necessario che ri-ascoltiamo con maggior attenzione l’insegnamento del Maestro sulla dignità della donna e sul suo ruolo. Come chiesa, naturalmente – che è la comunità dei suoi discepoli. E come società civile.
Buona Pasqua!