26 ott 2014
Malala, la speranza
In questi ultimi giorni hanno occupato le cronache alcuni ragazzi. Lontani nella geografia del pianeta, ma vicini per età. Malala Yousafzai 17 anni, pakistana; Vincenzo 14 anni, e un altro Vincenzo che di anni ne ha 24, italiani. Malala riceve il Nobel per la pace per la sua lotta in favore del diritto delle bambine e ragazze all’istruzione. Vincenzo, di 14 anni, viene violentato e ridotto in fin di vita dal ventiquattrenne Vincenzo, con la complicità, più o meno diretta di altri suoi coetanei.
È difficile non cadere in luoghi comuni e non fare del moralismo spicciolo e fin troppo facile. Ma credo che fermarci un momento a riflettere su questi fatti non possa che aiutarci a guardare quali sono i valori che sottostanno a episodi di questo genere, senza cadere nel solito lamento sul male dei nostri tempi.
Malala, una ragazzina pakistana, a quattordici anni viene aggredita da un gruppo di talebani che le sparano alla testa. Ora sono passati due anni da quel giorno. E lei sta bene. La sua colpa: andare a scuola e lottare perché tutte le bambine possano andarci e ricevere l’istruzione cui ogni essere umano ha diritto. Ma secondo i talebani la sua è una lotta contro la legge del Corano, e “chi lotta contro la sharia deve essere punito con la stessa sharia”. Dei talebani abbiamo sentito parlare spesso in questi ultimi anni. Sono gli studenti delle scuole coraniche (talib = studente). Musulmani fondamentalisti, cioè fanatici, che operano in Iran, Afghanistan e Pakistan, e che intendono imporre ovunque la sharia, la cosiddetta legge coranica che, secondo loro, sarebbe fondata sugli insegnamenti del Profeta.
Approfitto, di fronte a questa continua confusione, per invitare i musulmani veri a far sentire di più la loro voce. Per dirci che, come si dissociano dai fanatici del cosiddetto Stato Islamico (ISIS), così essi rifiutano di riconoscersi in Boko haram o nei talebani. Abbiamo bisogno di sentirci dire che l’islam non è violenza verso gli infedeli (= i non musulmani) né sopraffazione verso le donne. Che il Creatore, che essi chiamano Allah, è il Padre dei suoi figli e delle sue figlie. E che tutti e tutte hanno la medesima dignità. Fratelli musulmani, aiutateci: di fronte a tanta violenza perpetrata in nome del Corano, abbiamo bisogno di sentire la vostra voce. Di veri credenti.
Ma torniamo a Malala. Perché lei ci porta la voce della speranza.
Nella tradizione cristiana, la speranza è considerata una forza (= virtù) che viene da Dio. Insieme alla fiducia (= fede) e all’amore. Virtù teologali le diciamo. Energia buona, cioè, che ci accompagna nell’incontro con il Creatore. La speranza che ci porta Malala è la speranza in un mondo migliore. In un mondo in cui uomini e donne possano vivere insieme nel rispetto reciproco e nella condivisione di valori che parlano di Vita. Vedere una ragazzina che a quattordici anni sa lottare per difendere il diritto all’istruzione e all’uguaglianza di genere, porta una grande luce in un tempo in cui rischiamo di perderci nella confusione dei valori e nella superficialità di un quotidiano, colorato certe volte di vuoto.
Perché è a questo vuoto che, invece, rischia di portarci l’altro episodio successo, negli stessi giorni, qui in Italia. Alcuni ragazzi, tra cui un giovane ventiquattrenne, marito e padre di un bambino di due anni, per uno stupido gioco hanno rischiato di ammazzare Vincenzo, un ragazzino di quattordici anni. La sua colpa? Avere qualche chilo di troppo, quindi meritevole, non solo di essere preso in giro, ma di venire ‘gonfiato ben bene’. Così si sono giustificati, con tutta la loro stupidità, i suoi aggressori. Stupidità aggravata dalle urla dei familiari di uno di loro che si sono precipitati a chiamare gioco un fatto di quel genere. Come se fosse accettabile che a ventiquattr’anni, per giocare, si possa aggredire un ragazzino fino a ridurlo in fin di vita. Ma tant’è, i genitori-educatori certe volte sembrano una categoria in estinzione. Se pensiamo a quante volte sentiamo di insegnanti aggrediti (a parole e non solo) da un padre o da una madre quando il figlio riceve un votaccio o un richiamo disciplinare.
Ciò che è ancora più triste è che questa brutta storia non è avvenuta in una nazione del terzo o quarto mondo. No. È qui a casa nostra, in un paese che diciamo civile, che siamo capaci di tanta superficialità e di tanto vuoto.
Si dice che ci sono due modi di stare al mondo: per costruire o per distruggere. Non so cosa ne pensiate voi: a me non piace ragionare in termini così assolutistici. Ma dentro simili fatti mi è difficile trovare energia che costruisce.
Malala ci parla di speranza. Mi piace pensare che il mondo sia pieno di giovani come Malala. Gli angeli del fango che questi giorni hanno invaso Genova mi confermano in questo pensiero.