13 lug 2014
Nel paradiso di Rodolfo (2)
Ricordate le parole che Isaia ascolta dal suo Dio che vuol mandare un segnale di rinascita al popolo provato dalla guerra e dalla deportazione? «Nel deserto pianterò cedri, acacie, mirti e ulivi; nella steppa porrò abeti, olmi e bosso insieme». Proprio ascoltando queste parole scritte più di mille500 anni prima, il monaco Rodolfo, intorno alla metà del 1100, indicava ai suoi confratelli questi sette alberi come interlocutori e modelli: il bellissimo cedro e la pungente acacia, il mirto sedativo e l’olivo gioioso, il rigoglioso abete, il forte olmo e il bosso sempre verde.
Lo ascoltiamo. Meditando, per quanto possibile, proprio le sue parole.
«Potrai diventare tu stesso cedro. Albero dal frutto pregiato, di legno incorruttibile, di profumo gradevole, essendo fecondo nelle opere, profumatissimo nella considerazione altrui e nella fama, fiorendo di mirabile bellezza come il cedro piantato sui monti del Libano». Sentito? Incorruttibile. Di questi tempi!
«Potrai diventare anche un’utile acacia, cioè un arbusto salutare e pungente (…). Per saper pungere e correggere i vizi tuoi e degli altri. Le parole del saggio, infatti, sono come spine, anzi come speroni e come chiodi piantati in profondità». Pungere e correggere i vizi e i difetti tuoi e degli altri. Attenzione, però. Prima i tuoi. Solo dopo, quelli degli altri. Lezione difficile da apprendere. Acutissimi come siamo nel cogliere i difetti e i limiti altrui, con l’occhio offuscato e annebbiato quando lo sguardo lo rivolgiamo su noi stessi.
«Riuscirai anche a diventare mirto. Pianta dalle virtù sedative e moderanti, facendo ogni cosa con moderatezza e discrezione, per non apparire troppo giusto o troppo remissivo (…). Nel giusto mezzo sta infatti ogni bene». La discrezione è sobrietà. È ascolto. L’opposto della presunzione e della supponenza. Essa richiede di essere coltivata, nella perseveranza, giorno dopo giorno. Con l’onestà con se stessi, accompagnata da un salutare riconoscimento dei propri limiti.
«Meriterai anche di essere un olivo. Albero simbolo di pietà e di pace, di gioia e di consolazione. Per allietare con il tuo olio il volto tuo e degli altri. Consolando con le opere di pietà coloro che sono in lacrime». L’olivo è simbolo della pace. Quando Atena, figlia di Zeus, si vede costretta a lottare con Poseidone, il dio delle acque, per la conquista della bellissima città di Atene, è lei a vincere perché gli dèi giudicano che l’olivo che lei fa sorgere dalla terra dove ha scagliato la sua lancia è dono più prezioso, per gli uomini, rispetto al cavallo che il dio del mare aveva portato. Perché la pace è dono più prezioso della guerra.
Con l’olio sono consacrati i re dei tempi antichi e i sacerdoti di ogni tempo. L’olio dell’olivo è condimento prezioso e salutare. È alimento per il corpo e sollievo per le ferite. Dà forza nella lotta. E nella tradizione cristiana, fin dalle origini, è usato per dare forza nell’ultima battaglia (= agonia).
«Potrai anche essere un abete. Albero slanciato in alto, denso di fronde, rigoglioso di verde. Sforzandoti di meditare le virtù sublimi, di contemplare le cose celesti (…) conoscendo le cose di lassù». La meditazione, che nasce e cresce in compagnia del silenzio, è parola difficile per le nostre orecchie intorpidite dal chiacchiericcio dei parolai. Offuscate dal rumore che, inesorabile, tormenta e confonde i nostri pensieri, ne appiattisce lo slancio e ne appesantisce il volo. E le domande sul senso della vita si pèrdono. E non arrivano al cuore.
«Non disprezzare neanche di essere un olmo. Albero che non è lodato perché alto o ricco di frutti. Ma è pur sempre utile come sostegno». Sostegno verso chi ha bisogno: di una mano, di una parola, di un minuto del nostro tempo. Perché anch’egli possa portare i suoi frutti e non perdersi d’animo nella difficoltà. Potendo contare sul sostegno di un fratello che sa accorgersi dell’altro, oltrepassando il suo bisogno di essere… l’ombelico del mondo.
«Inoltre non trascurerai di essere un bosso. Pianta che non cresce troppo in alto, ma che non perde facilmente il suo verde. Perché tu impari a non voler sapere troppo, ma a restare legato a terra per timore e umiltà, e, restando a terra, a conservarti sempre verde». Ritorna il pensiero del limite. Che è parte integrante della nostra natura. È il riconoscimento del limite che ci permette di restare con i piedi in terra, senza presunzioni o voli da super-uomo. Restando a terra, riconoscendoci terrestri, appesantiti a volte dalla terrosità che pure ci appartiene. Ma nel contatto con la terra, capaci di restare sempre-verdi. Senza perdere le foglie che ci lasciano respirare.
«Nel deserto pianterò cedri, acacie, mirti e ulivi; nella steppa porrò abeti, olmi e bosso insieme». Parole di Vita aveva ascoltato Isaia dal suo Dio. E con queste oggi ci salutiamo.