VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

16 feb 2014

Peggiocrazìa…?

Il mio computer continua a dire che questa parola – peggiocrazìa – è sbagliata. E non c’è verso di fargli capire che non è così. L’hanno già usata altri giornalisti, più esperti di me. Ma forse lui è così abituato a sentirmi parlare con Socrate o Platone, che dev’essere rimasto a quei tempi quando, per parlare dei rappresentati del popolo e degli uomini di governo, si usava la parola aristocrazia. Perché allora pensavano che il governo di un paese potesse essere messo soltanto nelle mani degli uomini migliori. Per questo li indicavano come aristo-cratici. Parola dalle nobili origini: nasce infatti dall’incontro di àristos (= migliore) e kràtos (= potere). Proprio per sottolineare che il potere, il governo era nelle mani degli uomini migliori. Quelli, per capirci, che oggi sono i nostri parlamentari.

 

I nostri parlamentari? Eh, sì. Proprio loro. Non sono essi quelli che abbiamo eletto e nelle cui mani abbiamo messo la cura e il governo del Paese? Non sono loro i migliori tra gli italiani? Guardateli. Eleganti, educati, fini, rispettosi, attenti, aperti al dialogo. Belli, ben curati, ricchi. Disponibili a fare per primi i sacrifici necessari, sempre pronti a mettersi a disposizione di chi si trova in difficoltà. Aperti al confronto con chi porta idee migliori. Capaci di ascoltare, nel dovuto silenzio, un collega che sta parlando nell’assemblea parlamentare: soprattutto quando questi è di un altro partito. Misurati, attenti nel parlare, con un linguaggio sempre rispettoso dell’altro. Attenti soprattutto a trovare parole educate e civili quando, da veri uomini (= maschi), si rivolgono alle loro compagne e colleghe, onorevoli come loro.

 

C’è poco da ridere, mi direte. E avete ragione.

Che miseria lo spettacolo che in questi giorni ci ha offerto il nostro parlamento! A noi italiani. E al resto del mondo. Una volta, per dire di chi non sapeva parlare se non con parolacce e volgarità, si diceva parla come uno scaricatore di porto. Beh, credo proprio che oggi per stare al passo con i tempi, dovremmo (oltre che smetterla di offendere questa categoria di lavoratori) dire, con maggiore aderenza alla realtà, che chi ricorre continuamente al turpiloquio e alla volgarità e all’ingiuria parla come un parlamentare. Sì, perché soprattutto con l’arrivo dei nuovi inquilini – quelli cresciuti a Chat e Grande fratello – il nostro parlamento sta diventando peggio di un’osteria.

 

Due domande, allora.

La prima: per quale ragione un onorevole (!?) per esprimere un disaccordo nei confronti di un suo collega, deve ricorrere all’insulto o, addirittura, alla violenza fisica? La seconda: perché, quando il disaccordo è con una donna, il parlamentare maschio si sente autorizzato a far ricorso a parole volgari e offensive che vanno sempre a finire sul sesso?

Perché proprio questa credo sia la cosa più umiliante per un’istituzione che dovrebbe ospitare i migliori tra gli italiani. È l’atteggiamento dei politici maschi nei confronti delle loro colleghe donne. L’unico linguaggio che sanno trovare è l’offesa e l’insulto sessista. Come se non si potesse parlare a una donna se non usando parole che richiamino comportamenti e atteggiamenti sessuali.

Mi direte: perché ti meravigli tanto? Guarda che la volgarità verbale che in questi giorni ha riempito le aule del parlamento e le pagine dei social network di alcuni politici, è espressione di quello stesso atteggiamento di certi leader – o presunti tali – che negli ultimi vent’anni, tra barzellette e festini, hanno sempre ostentato un atteggiamento di superiorità e di potere nei confronti delle donne. Ridotte a oggetto di consumo. Da esporre in vetrina. Ma sempre da usa-e-getta.

 

Poi ci scandalizziamo quando ci dicono che in India ogni venti minuti una donna viene stuprata. Sì, certo. È giusto scandalizzarci. È giusto chiederci come fare per cambiare certi atteggiamenti incistati in culture arcaiche. Alimentate, a volte, perfino da pregiudizi religiosi. Ma è così lontano il pensiero che esprimono i migliori (!?) tra gli italiani (= tanti nostri politici) quando trattano così le loro colleghe, solo perché sono donne?

«Disonore e rovina! È la disfatta! La paura genera il disordine; il disordine ferisce quel che vorrebbe difendere» fa dire Shakespeare al giovane Clifford di fronte al cadavere del padre.

 

A questo punto so di dover dare ragione al mio computer: peggio-crazìa è parola pessima. Bruttissima in italiano. E sicuramente da cancellare dal vocabolario.

Ma ancora più brutto è il pensiero che esprime. Perché essa ci parla della morte della demo-crazia. Che è il valore più grande che una società, se vuole vivere, ha bisogno di coltivare.