7 dic 2014
Un debito troppo grande
Non è iniziato bene venerdì scorso. Sono passati soltanto tre giorni dal 25, la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, e quella mattina la rassegna della stampa internazionale di Radio3 apre tre pagine, da tre diverse parti del mondo, che ancora una volta ci mettono davanti alla povertà mentale – miseria, direi – di tanti uomini che si nascondono dietro tradizioni, culture, perfino religioni, pur di giustificare la loro prevaricazione sulle donne.
La prima notizia ci viene dal quotidiano israeliano Haaretz (in ebraico La Terra). In Nigeria una ragazzina di 14 anni – quattordici! – è stata arrestata e condannata a morte perché due settimane dopo le nozze ha ucciso il marito, vent’anni più vecchio di lei, che la sua famiglia aveva costretto a sposare. Niente di nuovo, diremmo, visto che bambine vittime di matrimoni combinati con uomini molto più grandi di loro sono tantissime in quelle regioni del mondo dove tradizioni tribali e sharia continuano a considerare la donna un essere inferiore, quindi sottoposta al volere dei suoi uomini: padre, fratello, marito.
La seconda notizia è su BBC News. Riguarda la Corea del Sud, ma nei quotidiani di quel paese non se ne trova traccia. Centoventi donne, ex prostitute, che hanno lavorato presso le basi americane, hanno chiesto un risarcimento al Governo coreano che le ha sfruttate negli anni in cui, ancora giovani, ‘servivano’ ai maschi sia coreani che americani. Ora, più avanti negli anni, si ritrovano in miseria. Una notizia questa che richiama l’altra, sempre in Corea, delle cosiddette confort women (letteralmente donne di conforto) che ‘servivano’ ai soldati giapponesi durante la seconda guerra mondiale.
La terza notizia la dà El Mundo, quotidiano di Madrid: in Argentina ogni trenta ore una donna muore vittima di un familiare.
Così è iniziato questo venerdì.
Ma il problema è che di venerdì come questo è pieno l’anno. La violenza contro le donne inquina tutti i giorni dell’anno. Mutilazioni genitali sulle bambine, giustificate da tradizioni tribali; stupri commessi dietro la vergogna delle caste nella tradizione indù (stando ai dati ufficiali del National Crime Records Bureau, in India ogni giorno più di quattro donne intoccabili vengono violentate da uomini di casta superiore); donne picchiate in nome di una presunta ‘funzione educativa’ che la religione islamica affiderebbe al marito; donne uccise dai loro uomini in nome di un presunto diritto di proprietà.
Notizie da altre parti del mondo, direte. Sì, ma il mondo non è lontano da noi. In Italia, a casa nostra, sono state 179 le donne uccise lo scorso anno: una ogni due giorni. Quest’anno abbiamo già superato abbondantemente il numero di 120. La maggior parte di questi omicidi sono commessi da compagni o ex compagni di vita (mariti, conviventi, amanti, fidanzati, figli).
Anche se è difficile vedere segnali di svolta in tutta questa tragedia, io ci provo.
Questa volta un segno, un barlume di speranza, ce lo dà proprio il padre di Wasila, la ragazzina quattordicenne nigeriana. Lui, che molto presumibilmente era stato il primo a costringerla a quel matrimonio forzato, ora si è attivato per chiedere ai giudici di usare clemenza con la figlia. Certo, per noi è un gesto scontato, ma non lo è affatto in quella tradizione, falsamente religiosa, com’è la sharia, se pensiamo che solo il mese scorso, in Siria, un uomo si è ritenuto in dovere di partecipare attivamente alla lapidazione di sua figlia, condannata a morte per presunto adulterio.
E sabato arriva un’altra notizia. Straordinaria. Tugce, una giovane 23enne di origine turca, studentessa in Germania, muore dopo dieci giorni di coma. Era intervenuta per liberare due bambine 12-13enni da un gruppo di ragazzi che le stavano molestando. E quando poi esce dal locale, uno di questi la colpisce alla testa: lei non si risveglierà più. «In paradiso – aveva scritto qualche giorno prima su Facebook – non si entra con i piedi, ma con il cuore».
Sì, Tugce e i milioni di altre donne violentate e uccise dagli uomini, io penso che nel paradiso ci sia un posto speciale per voi. Gesù di Nazareth, che di queste cose se ne intendeva, aveva dichiarato che coloro che hanno fame e sete di giustizia saranno saziati.
Ma gli uomini, noi uomini che ci definiamo il sesso forte, ‘padroni’ nell’economia, nella cultura, perfino in tante religioni, come faremo a pagare un debito così grande, contratto con la Vita, quando il rispetto per essa non siamo capaci di viverlo neppure con le donne che la Vita stessa ha messo sulla nostra strada, per condividerne il viaggio?