VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

14 set 2014

Una brava alunna... di 107 anni

Sembrava ci stesse aspettando. Dopo i fatti della settimana scorsa, una coppia che rifiuta il figlio venuto male e un poco illustre scienziato che definisce immorale far nascere un bambino disabile, ecco che sotto voce, in un programma da primo pomeriggio, arriva questa notizia. Una donna di 107 anni, ancora in buona salute e con un livello di autonomia che tutti le invidieremmo, vive nella sua casa insieme ad una figlia di 84 anni, disabile. E continua a prendersi cura di lei. È arrivata così questa notizia, inaspettata e fuori programma. Chi sa, forse nell’aria gridava forte il bisogno di sentire una parola di speranza e di umanità.

 

Nessuno di noi, credo, potrà anche solo immaginare di arrivare a quell’età e in quello stato di salute, fisica e mentale. Ma non è questo il punto. Il punto, quello vero, sta nel fatto che una donna, madre di una figlia disabile, non si arrende lamentando la propria vecchiaia, né si ferma, in nome dei suoi centosette anni, di fronte ad una figlia che ha bisogno di lei. Non sappiamo quanto potrà ancora continuare. Sappiamo però che, giorno dopo giorno, per la scuola della vita, nella sua cartella c’è un quaderno con i compiti ben fatti. Quei compiti che questa maestra straordinaria, a volte molto esigente, non dimentica mai di assegnare.

È una maestra strana, in realtà. Ma capace di dare il compito giusto all’alunno giusto. Esigente, certo, ma anche capace di tanta riconoscenza e altrettanta vicinanza. La Vita, con le sue luci e le sue ombre, con una chiarezza inequivocabile certe volte, altre invece con messaggi da leggere e da decifrare con grande attenzione, ci prende fra le sue braccia e ci indica con molta cura quali sono i libri da studiare, quali i quaderni su cui scrivere e, soprattutto, che cosa scrivere e leggere. Nel tempo che passa, e con la pazienza di chi sa cercare e prendere sul serio ogni giorno e ogni momento.

 

“Dolore e gioia insieme quando è nato mio figlio – dice la mamma di un bimbo disabile. Lo adoravo ma mi rendevo conto delle differenze. Gli altri stavano seduti, il mio no; gli altri camminavano, il mio non ancora. Mi faceva male. Però tenacemente uscivo tutti i giorni, lo allattavo. Tutti si avvicinavano ad accarezzarlo, ed io li scrutavo, cercavo di capire se vedevano la differenza...”. Sì, la differenza. Perché in un mondo in cui la normalità e il valore di una persona sono misurate dalle prestazioni e dalla capacità produttiva, la strada dell’emarginazione è una grande discesa. E dall’emarginazione all’esclusione e al rifiuto il passaggio è breve. E facile.

 

Per tanti anni il lavoro mi ha portato ad incontrare famiglie con bambini e adulti disabili. Mai ho sentito una di queste pentita per non averne impedito la nascita.

Ho visto, per la verità, padri che se ne sono andati. Ma, si sa, noi maschietti, il sesso forte, in certe situazioni riusciamo a dare il meglio (!) di noi: di fronte a un figlio con maggiori difficoltà ce la squagliamo, lasciandone tutta la cura e la fatica alla mamma. Giustificando poi la nostra scelta con scuse più o meno decenti. Senza voler riconoscere che spesso la vera ragione sta nel fatto che ci sentiamo trascurati dalla nostra compagna che, ritrovandosi sola a prendersi cura di un figlio, non può continuare a fare da mamma anche al marito! Non tutti, grazie a Dio: conosco uomini che, al contrario, sanno esserci. Con tutta la loro forza. Con l’affetto che un padre sa dare quando ci si mette. E con tutta la condivisione che un vero genitore sa mettere in campo.

 

Sei anni fa è nata Giulia. Una nipotina. Noi diciamo che è venuta per insegnarci a guardare la vita con altri occhi. Con gli occhi di chi sa vedere la fatica di vivere e insieme la gioia di ogni conquista. Di ogni piccola conquista. Perché quello che a noi, gente comune, sembra piccolo, per lei è grandissimo. E ogni volta che una nuova parola esce dalla sua bocca o si lancia per una corsa sfrenata, o con i colori in mano costruisce un disegno e chiede di metterlo accanto a quello di suo fratello, o sa giocarsi una nuova abilità, il suo sorriso e la gioia che esprime riempiono la casa. Inondano il cuore. E se i nostri occhi si riempiono di lacrime che spingono per uscire, sappiamo bene che esse parlano di gioia e di gratitudine.

Questo sentono quei genitori che hanno imparato a guardare il proprio figlio diverso con occhi di umanità. Quell’umanità che un cristiano sa ritrovare nelle parole a volte difficili del Maestro di Nazareth che, nella sua originalità e sapienza, diceva che il biglietto per entrare nel Regno della Vita è nel farsi piccoli come un bambino. Di sicuro oggi, con un linguaggio di attualità, tra le persone che il biglietto d’ingresso l’hanno già in tasca, ci metterebbe i disabili, i malati di mente, gli emarginati di ogni genere. E chi sa accoglierli e vedere in loro l’Energia della Vita.