VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

20 lug 2014

Verso il paradiso di Bach (3)

In queste ultime settimane ci stiamo scambiando pensieri particolari per prepararci all’incontro, durante le camminate estive, con i nostri fratelli alberi e fiori che abitano con noi il giardino del mondo. Il nostro paradiso (in greco paràdeisos = giardino).

Accompagnati la settimana scorsa da Rodolfo, un monaco del XII secolo, facciamo oggi un salto nel tempo e troviamo Edward Bach, un uomo che ha saputo cogliere le vibrazioni dei fiori e ascoltarne l’energia vitale.  Al punto da scoprire che la loro energia è capace di far riemergere, quando assopita o stanca, perfino la nostra. Perché anche noi siamo parte della medesima Natura. Oggi incontriamo questo personaggio originalissimo. La settimana prossima entreremo con lui nel suo paradiso.

 

Bach era un medico. Vissuto in Scozia tra la fine dell’ottocento e il primo novecento. È il 1936 quando la morte lo incontra all’età di cinquant’anni. Come medico percorre tutta la sua carriera accademica. Ma comincia a sentire che le malattie sono qualcosa di diverso dalla semplice lettura che ne dà la medicina ufficiale. Esse sono un linguaggio che il corpo usa per parlare di una sofferenza che è molto più profonda di quella che esprime un organo malato. Quella che chiamiamo malattia è espressione della sofferenza dell’anima.

 

Il nostro pensiero occidentale è prigioniero di una pericolosa scissione: da una parte poniamo la scienza, dall’altra la spiritualità. La prima è nobile, alta, sicura. Provata. Infallibile, si direbbe. La seconda, che non si fonda sulla ricerca di laboratorio e non si vede con gli strumenti della tecnologia, ci appare come qualcosa di accessorio. Che se c’è, va bene. Ma se non c’è, nessun problema.

Così, il limite di una scienza, la medicina, che si ferma a curare la malattia ma perde di vista la persona, perché incapace di vedere che un organo malato è solo l’effetto di uno squilibrio interiore, rimane tutto. E noi ci perdiamo perfino il ragionamento più semplice: che se non s’interviene sulla causa, possiamo anche eliminare un effetto, ma prima o poi ne emergerà un altro. Poi un altro ancora. Perché «la salute – sostiene questo medico – è la completa e piena unione fra anima, mente e corpo». Perché «ognuno di noi ha una missione divina in questo mondo, e le nostre anime utilizzano le nostre menti e i nostri corpi come strumenti per compiere questo scopo. Cosicché [soltanto] quando tutti e tre lavorano all’unisono, il risultato sarà la salute e la felicità perfetta».

 

Guidato da questi pensieri e convinto che «la malattia non potrà mai essere curata o sradicata attraverso i metodi materialisti attuali per il semplice fatto che la sua origine non è materiale», Bach decide di uscire dal laboratorio e di lasciare l’ospedale. Convinto che la sua missione in questo mondo è di andare oltre il limite della medicina accademica e di cercare altre strade per realizzare il suo progetto di vita: essere d’aiuto agli altri. «Non è necessario essere un frate o una suora, nascondersi al mondo: il mondo per noi è solo godere e servire, ed è soltanto nel servire con amore e felicità che possiamo essere veramente utili e fare il nostro lavoro».

 

Inizia così a muoversi in mezzo alla natura, e pian piano si accorge che quando si avvicina a un fiore, questo trasmette una sorta di vibrazione. Di energia. Così, guidato da questa particolare sensibilità che la vita gli ha donato, inizia a scoprire come certi fiori sono in grado di sintonizzarsi con determinate caratteristiche degli individui. E diventare un aiuto per sciogliere quei nodi che in momenti particolari possono imprigionarci, bloccarci. Impedendoci di svolgere il nostro compito nella vita, togliendo respiro alle nostre anime.

 

Nella sua ricerca si ferma prima a dodici fiori. Guaritori li chiama. Poi, però, sente che la sua missione non è compiuta, e riprende la ricerca fino a individuarne trentotto.

Con la sua guida ne guarderemo qualcuno la settimana prossima. Oggi mi piace ricordare un particolare della biografia di quest’uomo. A trentuno anni gli viene diagnosticata una malattia incurabile che, secondo i medici, gli lascerebbe appena qualche mese di vita. Ma lui sente che la sua missione non è ancora compiuta, e si ributta a capofitto nel lavoro: quei pochi mesi diventano così altri diciannove anni. Poi un giorno dirà ai collaboratori che oramai sente che la sua opera è compiuta. E qualche settimana dopo, a cinquant’anni, muore nel sonno.

 

Non ci ha lasciato tanti scritti (uno ne voglio citare: Guarisci te stesso). Ci ha lasciato tanti fiori. Lui amava ricordare il pensiero di un altro medico, del 1500, Paracelso: «Il medico saggio – diceva – cura cinque e non quindici pazienti al giorno». Perché una buona medicina non si limita ad incontrare gastriti o otiti o depressioni: dietro ogni malattia c’è una persona di cui prendersi cura.

 

 

1. Immersi nel paradiso

2. Nel paradiso di Rodolfo

4. Nel paradiso di Bach

5. Nel nostro paradiso