31 mag 2015
Il diritto di un figlio e il diritto di una madre
Alla ricerca delle origini (2)
Dovrà imparare a coltivare nel suo cuore il pensiero che sua madre l’ha voluto. Con tanto amore. Con tutto l’amore di cui era capace. Così c’eravamo lasciati la settimana scorsa. Rivolgendo questo pensiero al figlio di quella donna che ha avuto la forza di farlo nascere, pur sapendo di non avere la possibilità di prendersene cura e di crescerlo.
So quanto sia difficile entrare in questo pensiero. Ma... proviamoci.
Quel bambino, nato da una madre che al momento del parto ha scelto di non riconoscerlo, ora è diventato grande. Alla nascita è entrato in una famiglia che l’ha accolto come figlio. Una famiglia che tanto lo desiderava e che ha saputo offrirgli una casa e l’affetto di due genitori. L’hanno cresciuto con l’amore e le attenzioni di cui erano e sono capaci. Insieme hanno condiviso i momenti della gioia e quelli della sofferenza, il piacere di condividere una casa e la fatica di farlo. Le soddisfazioni per le conquiste che giorno dopo giorno costruivano, e le ansie per i passaggi difficili e impegnativi che la vita metteva loro davanti.
Una famiglia adottiva, noi diciamo. Con il rischio di usare questa parola come se parlasse di un legame meno forte. Meno valido. Meno significativo. Rispetto al legame che chiamiamo di sangue. Eppure la parola che usiamo è una parola molto forte. Adottare nasce dal latino ad (verso) e optare (scegliere, desiderare). È un incontro di due scelte, di due desideri: il desiderio di un bambino di avere una famiglia e il desiderio di due adulti di diventare genitori.
La vita ha fatto incontrare quel bambino a pochi giorni dalla nascita con quei due adulti. E, guardandosi negli occhi, si sono detti: Noi siamo i tuoi genitori e Io sono vostro figlio. Così è iniziata una nuova storia. Una storia di vita.
Non dev’essere stato facile dare la parola a questa storia. I suoi genitori erano accompagnati dalla paura di creargli una difficoltà e dal timore di dover affrontare essi stessi un passaggio tanto impegnativo. Il passaggio che permetteva ad entrambi di condividere una verità che conteneva dolore e gioia. Il dolore di un abbandono nel cuore di questo figlio, e la fatica di una genitorialità non facile da accettare. E, nello stesso tempo, la gioia di un incontro e di un progetto costruito insieme in una relazione d’amore.
Ora questa storia di vita è andata avanti. Lui (lei) è diventato grande. E gli anni sono passati anche per i suoi genitori. Ma il tempo e lo spazio di questa famiglia in tutti questi anni contenevano anche una presenza. Un ricordo. Indelebile per tutti. Che diventava ogni giorno una domanda: chi è quella donna che ha dato la vita a quel bambino tanti anni fa, e nel modo in cui allora era capace di farlo ha permesso a lui e ai suoi genitori di incontrarsi e di costruire insieme il tempo della vita? Lui vorrebbe ritrovarla. Incontrarla. Conoscerla. Sente che in lei sono le sue radici. In lei. E in un uomo di cui non si conosce neppure se sapesse di aver messo al mondo un figlio. Uno che se n’era andato e non voleva (non poteva?) assumersi la responsabilità di crescerlo. Al punto che lei, rimasta sola, ha potuto accompagnare questo figlio soltanto fino al momento della nascita. Poi ha dovuto lasciarlo andare. E andarsene anche lei. Ciascuno per una strada che, insieme, non potevano condividere.
E ora la domanda che abita il cuore di questo giovane uomo (di questa giovane donna) vorrebbe incontrare una risposta. Perché questa domanda è sana. Legittima. Naturale, diremmo. Ma questa domanda – legittima, sana, naturale – s’incontra con il desiderio di quella donna di restare nascosta. Anche lei, con il passare degli anni, avrà costruito la sua vita. Magari ha incontrato un uomo con cui ora condivide una famiglia, anche dei figli forse. E lei e loro sono dentro questo nuovo progetto di vita. Nel suo cuore abita sempre il suo segreto. Che è un atto d’amore per questo figlio (o figlia) di cui allora non poteva prendersi cura.
Ma se questo segreto non ha potuto condividerlo con nessuno, è giusto ora irrompere nella sua vita con la richiesta di portarlo allo scoperto perché quel bambino di allora, oggi adulto, vorrebbe incontrarla? Se lei se la sente, sarebbe davvero bello costruire quest’incontro.
Ma se lei non se la sente, io credo che dobbiamo rispettare il suo desiderio. E provare a guardarla come una persona che ha già fatto una cosa grande nel prendersi cura di suo figlio fino a permettergli di nascere. E di vivere in una famiglia.
Al figlio, oggi adulto, e ai suoi genitori mi permetto di suggerire un pensiero. Da coltivare e da condividere. Un pensiero di gratitudine verso quella donna che con tanta fatica ha permesso al figlio di nascere e di incontrare una famiglia. E ai suoi genitori di incontrare un figlio.