13 set 2015
Le vacanze dei figli di famiglie separate
Bambini... invisibili (1)
Asia e Marco hanno cinque e sette anni. I loro genitori sono separati. Il padre se n’è andato di casa quando la bambina aveva sette mesi. Una separazione come tante. Dure, piene di sofferenza, conflittuali. Due adulti, incartati nelle loro vicende e nella reciproca attribuzione di responsabilità. Tensioni non ancora sciolte. Nonostante i quasi cinque anni già trascorsi.
È una piccola storia quella che vi racconto oggi. Ma tanto piccola quanto diffusa. Come le formiche, la popolazione più numerosa del pianeta.
È una domenica di agosto. Asia e Marco devono partire per una settimana di vacanza con i nonni materni. La vacanza fa parte del programma per l’estate che i genitori, dopo tanta fatica e tanti incontri-scontri con la presenza degli avvocati, hanno concordato. Tutti ormai lo sappiamo, le vacanze dei figli dei separati sono spesso un incubo per loro, costretti a far buon viso a cattivo gioco. E, problema sul problema, i cattivi giocatori sono proprio coloro che li hanno messi al mondo.
Ma riprendiamo la nostra storia. I nonni sono pronti per partire con i loro nipotini. Li aspettano più di quattr’ore di viaggio. Marco e Asia hanno passato il fine settimana con il babbo e, in queste occasioni, di solito rientrano dalla mamma tra le sette e le otto di sera. Questa volta la mamma gli aveva chiesto se poteva riportarli qualche ora prima così da permettere ai bambini di arrivare al luogo della vacanza in un orario decente. Non troppo tardi, a notte inoltrata. La risposta del babbo? Sorvoliamo sulle parole, irriferibili su questo giornale. Quella sera li porterà più tardi del solito. Convinto, così, di fare un bel dispetto alla sua ex.
Questo è il problema. I due adulti non sanno ancora che, se pure sono separati come marito e moglie, restano e resteranno sempre i genitori dei loro figli.
Proviamo a ragionare un momento. A chi sta facendo un dispetto questo signore? L’istinto (!?) gli dice che lo sta facendo alla sua ex. O magari anche ai nonni materni – che sono, ai suoi occhi, un’appendice di lei. Ma è proprio così? Non sarà, invece, che a pagare per la sua rabbia e per la sua (stupida) decisione sono i suoi bambini? Non è sulle loro spalle che ricade il peso di un viaggio da fare fino a notte inoltrata?
Mi direte: è così chiaro che sta facendo del male ai suoi figli, che bisogno c’è di ragionarci tanto? E avete ragione. Ma è proprio qui il problema: quando siamo catturati dalla rabbia e dal risentimento, la nostra ragione fa acqua da tutte le parti. Al punto che non ci rendiamo più conto neanche di ciò che stiamo facendo. Questo giovane poco più che quarantenne, padre di due bambini di cinque e sette anni, sta mettendo sulle spalle dei figli un peso che non li dovrebbe neppure sfiorare.
Rabbia e risentimento, senso di fallimento e delusione, terreno fecondo per sentimenti di vendetta e di rivendicazione, appartengono ai due coniugi. Sono essi, i due adulti, che hanno deciso di mettere in piedi un progetto di famiglia e non hanno saputo, poi, alimentarlo in modo adeguato e farlo crescere. O che, a un certo punto, si sono resi conto che quel progetto non poteva andare avanti. Si sono accorti che era stato un errore pensare ad una famiglia insieme? Va bene. Si separino. Sono entrambi adulti. È molto verosimile che, come ciascuno di loro avrà contribuito alla progettazione, così, in seguito, avrà fatto la sua parte nel farle mancare l’alimento necessario.
Ma quando si mettono al mondo dei figli, nei loro confronti ci si assume una responsabilità totale. Ripeto, totale. Almeno finché questi non saranno in grado di prendersi cura di sé in modo del tutto autonomo.
È vero, noi sappiamo che i bambini hanno una grande energia. La loro resilienza sembra attingere ad un serbatoio enorme. Ma che tristezza pensare che i primi a mettere alla prova la loro forza sono proprio i genitori. Coloro che li hanno desiderati, messi al mondo e fatti crescere. Poi? Poi questi adulti si lasciano catturare dai loro problemi, dalle loro difficoltà. Dai loro conflitti. E ne rimangono imprigionati. Al punto che diventano incapaci di guardare al di là della punta del naso. Incapaci di accorgersi che in mezzo al loro campo di guerra stanno ‘giocando’ i loro bambini.
È con i coniugi separati che vorrei condividere una parola, adesso. Non è facile digerire il fallimento di un progetto così radicale e coinvolgente come costruire una famiglia e dare la vita a dei figli. Viene naturale cercare le colpe e ritrovarsi incastrati in un gioco di attribuzioni reciproche e infinite. È difficile farcela da soli. Quando vedete che non ce la fate, chiedete aiuto. In un consultorio, presso uno psicoterapeuta. Ma non mettete sulle spalle dei vostri figli pesi che non possono sostenere. E loro ve ne saranno sempre grati.