VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

1 nov 2015

Novembre, un tempo propizio

C’è tempo e tempo

«C’è un tempo per nascere, e un tempo per morire... Per tutto c’è un momento e un tempo, per ogni faccenda sotto i cieli». Così un poeta scrive duemila200 anni fa. Continua poi, come una collana di perle, una lunga serie di pensieri che anche per noi uomini del XXI secolo sarebbero luce ai nostri passi se solo sapessimo fermarci, un momento, ad ascoltare. Parola dopo parola. È vero, sembra che abbiamo perduto la capacità di ascoltare le parole: troppe ne vengono imbandite e, come in quei pranzi da cerimonia che non finiscono mai, la sovrabbondanza di ‘portate’ c’impedisce di assaporarle. Con il rischio di ingurgitare di tutto, il buono e il meno buono. L’utile e l’inutile. Perfino il cattivo.

 

Due osservazioni.

La prima. Questa poesia, antica, sembra sia stata scritta da una donna. Non ne siamo certi, è un’ipotesi. Verosimile, però. Le parole usate, il ritmo, e soprattutto quel verbo con cui inizia, che ormai normalmente traduciamo con nascere (in ebraico jalàd), in realtà significa partorire o dare alla luce. Un uomo non avrebbe sottolineato quest’aspetto pensando al momento della nascita. Ma, si sa bene, non era dignitoso che una donna allora scrivesse, meno ancora che le sue parole venissero apprezzate e trasmesse alla storia.

L’altra. Nell’antica lingua greca ci sono due parole per dire tempo. Una è crònos: essa indica il tempo che scorre, quello che misuriamo con l’orologio o con i secoli e i millenni. L’altra è kairòs: è il tempo propizio, il momento da non perdere. Il tempo giusto. Per fare una cosa. Una scelta. Per incontrare una persona. Gli antichi traduttori del testo, dall’ebraico al greco, hanno usato proprio questo secondo vocabolo, kairòs. Cogliendo la forza e la saggezza di quella poesia che c’invita a guardare che c’è un tempo propizio per ogni cosa. E ogni cosa va fatta al tempo giusto.

 

Ascoltiamo.

«Per tutto c’è un momento / e un tempo, per ogni faccenda sotto i cieli. / Un tempo per nascere e un tempo per morire / un tempo per piantare e un tempo per sradicare quel che si è piantato / un tempo per uccidere e un tempo per curare / un tempo per demolire e un tempo per costruire / un tempo per piangere e un tempo per ridere / un tempo per fare lutto e un tempo per danzare / un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli / un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci / un tempo per cercare e un tempo per perdere / un tempo per conservare e un tempo per buttar via / un tempo per strappare e un tempo per cucire / un tempo per tacere e un tempo per parlare / un tempo per amare e un tempo per odiare / un tempo per la guerra e un tempo per la pace» (Qoelet 3,1-8).

 

Non c’è critica né rimprovero in queste parole. Sono una fotografia, un quadro che ci rappresenta. Giorno dopo giorno. E nello stesso tempo un invito a fermare il pensiero e l’attenzione. Perché soltanto così possiamo cogliere il tempo giusto per ogni cosa.

 

Gli uomini (maschi) sempre, nella storia, hanno coltivato la loro attività. Il loro attivismo, spesso. Come se la mancanza di movimento, di azione, di produzione, nel bene e nel male, fossero un pericolo. Una diminuzione di se stessi. Lo viviamo oggi, quando continuamente – ossessivamente – ci viene chiesto di essere produttivi, attivi, instancabili, e lo vivevano allora, quando l’arte più nobile era quella del guerriero. Del condottiero che muoveva le sue truppe per conquistare nuove terre e soggiogare nuovi popoli.

Alla donna era lasciata la cura. Dei figli, del marito, della casa. Penelope e Ulisse. Lui, il guerriero forte e astuto, conquista Troia, esplora il mondo, fuori di lui, con il rischio di perdersi nella ricerca di se stesso. Gli sono compagni altri uomini, maschi come lui. Penelope rimane a casa. Lei sa aspettare, sa attendere. Nella speranza/certezza che lui ritorni. Che ritrovi la ‘sua’ casa.

 

Il mese di novembre è accompagnato da una bella tradizione: per molti di noi è tempo di visita ai cimiteri. Ci piace ricordare così amici e parenti che hanno condiviso con noi una parte del loro e del nostro tempo, e lì hanno lasciato, a riposo, il proprio corpo.

Ascoltiamoli, magari vogliono farci un regalo: trasformare quel tempo che passiamo con loro (crònos) in un tempo propizio (kairòs) per noi stessi. Per ascoltarci. Portiamo con noi questa poesia e leggiamola. Noi e loro. Soli. Parola dopo parola. Senza correre. Qualche minuto condiviso con persone amiche. Che ora sanno guardare il tempo con occhi nuovi. Liberi da tutte quelle costrizioni dalle quali noi ancora ci lasciamo imprigionare.

Se li ascoltiamo sarà un regalo anche per loro: sentiranno che possono esserci ancora d’aiuto. E di conforto. Nella fatica del quotidiano.