15 nov 2015
Novembre, un tempo propizio per riflettere
Geni e santi
Continuiamo oggi a dare un po’ di respiro alla nostra anima. Ne abbiamo bisogno. Ce lo diciamo continuamente. Non so se capita anche a voi, ma a me succede sempre più spesso, incontrando persone che non rivedo da qualche tempo e con le quali avevo condiviso momenti più o meno lunghi, che tra le prime cose che mi sento dire arriva il lamento: per come vanno le cose... certo che andiamo sempre peggio... boh! E con quel boh sembra chiudersi ogni porta di accesso. Al presente. Figuriamoci... al futuro!
Oggi incontriamo due persone. Che hanno terminato questa fase della vita che noi ancora stiamo condividendo. Uno scienziato e un monaco. Oliver Sacks, neurologo, morto proprio tre mesi fa all’età di 81 anni. Al-Ghazali, mistico dell’Islam, vissuto nel XII sec. Uomini eccezionali? No, uomini normali. Uomini che hanno saputo vivere la loro vita, attraversandone e vivendone difficoltà e contraddizioni.
Il mio lavoro mi ha fatto incontrare Sacks, un ricercatore straordinario nello studio del cervello e nella cura (= nel prendersi cura) dei pazienti aggrediti da disturbi e disfunzioni gravi e invalidanti. Sulla strada della ricerca spirituale un giorno mi sono imbattuto in Ghazali, filosofo e teologo islamico.
«Nove anni fa scoprii di avere un raro tumore dell’occhio, un melanoma oculare – scrive Sacks sei mesi prima di morire –. Solo in rari casi quel tipo di tumore dà origine a metastasi. Io sono nel 2% sfortunato e ora sono faccia a faccia con la morte. Questo non significa che mi sento finito. Al contrario, mi sento intensamente vivo, e io voglio e spero, nel tempo che mi rimane, di riuscire ad approfondire le mie amicizie, di poter dire addio a coloro che amo, di scrivere di più, di viaggiare se ne avrò la forza, di raggiungere nuovi livelli di comprensione e intuizione». Poi aggiunge: «Non posso fingere di non avere paura. Ma il mio sentimento predominante è la gratitudine. Ho amato e sono stato amato; mi è stato dato molto, e ho dato qualcosa in cambio; ho letto, viaggiato, pensato, scritto. Ho avuto una relazione intensa con il mondo. Ma sopra ogni altra cosa, sono stato un essere senziente, un animale pensante su questo splendido pianeta: e questo è stato un enorme privilegio e un’immensa avventura».
Ha 36 anni Ghazali quando lascia una brillante carriera universitaria e dall’Iran si trasferisce in Siria. È difficile per lui conciliare gli impegni di un lavoro, che ogni giorno gli chiede tempo e fatica, con la ricerca spirituale. E parte per una strada assoluta. «Considerai le circostanze della mia vita e mi accorsi di essere sommerso negli impegni che mi avevano accerchiato da ogni parte – scrive –. Considerai le mie attività, fra cui la migliore era l’insegnamento, dentro e fuori della scuola, e mi resi conto che nel loro ambito mi stavo dedicando a scienze senza importanza e senza utilità per l’Altra Vita. Riflettei dunque su ciò che mi ripromettevo dall’insegnamento e mi accorsi che non era puramente rivolto a Dio eccelso, ma che suo movente e suo impulso erano la ricerca di onori e l’ottenimento di più larga fama. Ebbi la certezza di trovarmi sull’orlo di un dirupo franoso e d’essere sul punto di cadere nel fuoco se non mettevo riparo al mio stato».
Parole difficili per noi. Nove secoli ci separano. Accanto a una cultura che sembra far fatica anche ai nostri giorni a trovare una buona via d’incontro e di conciliazione tra impegno nel quotidiano e la cura di una dimensione spirituale.
Perché sono andato a cercare un santo nell’Islam piuttosto che tra i cristiani? Perché io credo che le tradizioni religiose diverse sono una ricchezza per l’umanità. E un dono del buon Dio. Di quel Dio che noi chiamiamo con nomi diversi, e nel cui nome certe volte arriviamo perfino ad aggredirci l’un l’altro. Ma che, magari sorridendo sui tanti nomi, sa guardarci con affetto di padre-e-madre, e con la pazienza di chi guarda crescere i suoi figli.
Abbiamo bisogno di pace. Ma questa si costruisce prima di tutto con noi stessi. Trovare la pace con me significa sentirmi bene nel mio lavoro, nella mia famiglia, con gli amici e i meno amici. Sacks è un genio, Ghazali un santo, noi diremmo. Ma io credo che geni siamo noi quando spendiamo le nostre giornate nella fedeltà al lavoro quotidiano e agli affetti. E santi siamo quando, riconoscendoci parte integrante di questo mondo, ce ne prendiamo cura. E quando di questa società, di cui tante volte ci lamentiamo e che rischiamo di guardare con occhiali appannati dalla noia e dalla sfiducia, ci sentiamo corresponsabili e costruttori. In quella piccola-grande parte che la vita affida a ciascuno.