19 lug 2015
Una pausa per respirare
La montagna mi ha insegnato...
Ho sempre vissuto il fascino della montagna. Fascino e soggezione nello stesso tempo. E quando mi ritrovo con lei, mente e cuore respirano pace e serenità. Mi piace frequentarla. Ben sapendo che è una maestra esigente. Seria. Che chiede di essere presa con altrettanta serietà. La montagna non fa sconti. Non si abbassa perché tu possa arrivare sulla cima. Non ti dice di salire se in quel momento non ce la fai. Lei sta lì. E aspetta. Sa aspettare, perché il tuo cuore e i tuoi polmoni imparino a collaborare per sostenere la fatica della salita. Se non ti fa sconti è perché sa bene che quando avrai raggiunto la cima, il fascino che ti regala è così grande che ogni tua aspettativa è superata.
Ma la salita è faticosa. Come faticosa è la ricerca della conoscenza – ricerca che cerchiamo di fare in questi nostri incontri.
Una buona guida sa che il ritmo della salita deve essere rapportato alle forze di chi sta salendo. Anzi, il ritmo della salita deve tener conto delle forze del più debole della cordata. Perché chi è forte può aspettare chi è più affaticato. A chi non ce la fa non puoi chiedere di reggere un ritmo superiore alle sue energie. Questo ho imparato dai maestri che mi hanno guidato nelle mie prime salite e questo ho imparato dalle persone che mi hanno chiesto, poi, di essere guidate da me sui sentieri, anche scoscesi e ripidi, dei monti. E della vita.
Siddhartha, nel tentativo di dare conforto a chi lo stava incontrando, diceva di aver appreso negli anni ad aspettare, a digiunare e a meditare. Tre verbi. Importanti. Che ognuno di noi, io credo, dovrebbe imparare a coniugare.
Saper aspettare significa avere la capacità di non farsi prendere dalla fretta e dall’impazienza. Significa saper aspettare che chi ti sta parlando termini il suo pensiero. Per comprendere. Senza lasciarti travolgere dal bisogno di sopraffarlo con il tuo. Significa anche saper rispettare chi ti cammina al fianco con un ritmo che è diverso dal tuo, a volte più veloce, altre invece di una lentezza esasperante. Saper digiunare significa non farti prendere dal panico se il cibo non è disponibile. Come pure essere capace di non abbuffarti davanti a una tavola piena di tante buone cose. Significa saper condividere il cibo e lasciare che chi ti è vicino mangi, anche prima di te se il suo stomaco è più vuoto del tuo. Chi sa meditare è in pace con se stesso. Sa ascoltare. Sé e l’altro. Sicuro che non perderà i suoi punti di riferimento. Né si lascerà sopraffare dalla paura quando chi lo circonda si fa travolgere dall’agitazione e dal panico.
Mi capita spesso, leggendo il Vangelo, di lasciarmi sorprendere dall’uomo Gesù. Lasciando fuori campo, per un po’, il Figlio di Dio. Maestro di saggezza quel giovane ebreo, figlio di operai. Non teologo né sacerdote, detentori allora di ogni potere: culturale, politico e religioso. “La verità vi farà liberi” diceva discutendo con alcuni di loro (Giovanni 8,32). Parlava dello Spirito in quella circostanza, ma a me piace pensare che anche nel sapere umano, come nelle nostre relazioni, è la verità a farci entrare nella casa della libertà. E la verità, nell’umano, è come la vetta di una montagna: ci vuole fatica e costanza per raggiungerla, e fatica e coraggio per coltivarla. Soprattutto quando la ricerca di essa ti fa sentire solo, perché coloro che hanno il potere (politico, culturale o religioso) ce la mettono tutta per soffocare la tua voce. Che essi temono. Perché la tua ricerca mette in crisi le loro certezze.
Ancora una cosa oggi, in questa pausa che facciamo per raccogliere il fiato prima di riprendere la nostra salita. Sono tre pensieri di Francesco. Per dare conforto anche a questa nostra pagina... in pericolo.
Nel messaggio per la Giornata delle Comunicazioni Sociali del 17 maggio scorso scrive: «Le nostre vite sono intrecciate in una trama unitaria, le voci sono molteplici e ciascuna è insostituibile». E nell’Enciclica Laudato si’ sulla cura della terra, nostra casa comune, al n. 62 scrive: «La scienza e la religione, che forniscono approcci diversi alla realtà, possono entrare in un dialogo intenso e produttivo per entrambe». Non è una novità il richiamo alla necessità di un dialogo tra scienza e religione. Già altri papi prima di lui l’hanno fatto. Anche se dobbiamo riconoscere, con rammarico, che nonostante i tanti richiami, succede ancora di sentire certi cattolici, perfino alcuni uomini di chiesa, cadere nella vecchia tentazione di leggere la Bibbia come fosse un testo non di pura teologia, ma di storia o di astronomia o di psicologia o di medicina.
Ma oggi respiriamo. Il caldo di questi giorni ci ha messi a dura prova. Fra un po’ riprenderemo la nostra salita. Il tempo più fresco ci aiuterà a ritrovare, secondo l’invito di Francesco, la capacità di «Fare ponti in questa società dove c’è l’abitudine a fare muri».