VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

2 set 2015

Riflessioni per una buona estate

Nutrire l’anima, nutrire il corpo (2)

La settimana scorsa c’eravamo lasciati con un compito impegnativo: nutrire la mente. Quella ‘parte’ di noi che ha fame e sete di conoscenza. Oggi ci muoviamo su due territori apparentemente lontani o, ad uno sguardo superficiale, addirittura inconciliabili.

Se andiamo indietro nel tempo e ascoltiamo quanto insegnava Platone ai suoi discepoli, duemila400 anni fa, lo sentiamo parlare dell’anima come di una prigioniera. Prigioniera del corpo. E raccontandoci del suo maestro Socrate, ci dice di come egli si divertisse, certe volte, a sorridere di quegli amici filosofi che concordavano con lui su questo stato di prigionia, ma di come, nello stesso tempo, temessero la morte come la disgrazia più grave che potesse capitare. Come un prigioniero desidera ardentemente uscire dalla prigione e vivere in libertà, diceva, così dovreste desiderare voi la libertà per la vostra anima. E cosa di più bello allora che morire? Non è la morte la fine dello stato di prigionia e il raggiungimento della libertà tanto desiderata?

 

Un ragionamento, anche se fatto con toni apparentemente giocosi, molto serio in verità. Un ragionamento che ci siamo portati dietro nel tempo. Nella cultura occidentale e non solo. Perfino il cristianesimo, man mano che veniva strutturandosi come visione del mondo e come religione, ha attinto a questo pensiero, facendolo proprio. Fino a quegli eccessi che portavano al disprezzo del corpo e ad una spiritualizzazione assoluta dell’essere umano. Dimenticando nello stesso tempo sia l’insegnamento biblico che vede il Dio-Creatore ‘costruire’ l’uomo come corpo, parte della stessa terra, e dare a questo corpo il soffio della vita, sia l’incarnazione (= Dio che vive sulla terra, uomo in carne ed ossa, Gesù di Nazareth) che è il centro e il fondamento del cristianesimo stesso.

 

Questi pensieri, che per un momento ci hanno portato lontano nel tempo, per richiamarci un punto che non possiamo permetterci di trascurare. Per non fare confusione. Il corpo, la mente, l’anima non sono ‘parti’ di noi. Possiamo definirle come dimensioni o aspetti di noi stessi, che guardiamo e facciamo vivere a seconda del punto di vista in cui ci collochiamo.

 

Che cosa chiamiamo mente? Lo dicevamo la settimana scorsa: è il nostro desiderio e il nostro bisogno di conoscere, di sapere, di esplorare il mondo in cui viviamo.

Che cosa chiamiamo anima? Il nostro bisogno di comprendere il senso della vita. La percezione di quell’aspetto di noi che parla d’immortalità. Perché parla di bene. E il bene non può morire. È per questo che l’anima ha bisogno di tenere aperta la domanda sulla vita. E non si lascia soddisfare da risposte che navigano in superficie. È vero che a volte proviamo a chiuderle la bocca con le solite frasi. Ovvie. Ma vuote. Come, ad esempio, il senso della vita è fare soldi, o fare carriera, o sballarsi il sabato sera, o avere successo con le donne o conquistare l’uomo più ricco o più importante... Risposte facili. Ma risposte che lasciano all’anima l’amaro del vuoto e del nulla.

 

Altro cibo velenoso per l’anima è quel lamentarsi continuo che certuni fanno quando si mettono in testa – e lo vogliono mettere in testa anche a noi – che oggi va tutto male, che non abbiamo più punti di riferimento validi, che dobbiamo fare crociate per difendere i cosiddetti valori non negoziabili. Perché tutto il mondo è contro di noi. Perché la famiglia è allo sfascio. Perché la religione non è più rispettata. Perché pensiamo addirittura di riconoscere ai gay il diritto ad una vita affettiva come se fossero persone normali invece che malati, o depravati, o peccatori.

Veleno per l’anima è la perdita della speranza.

 

Cibo sano per l’anima è credere nella vita. È guardare il mondo con fiducia. Con amore. Con quella fiducia e quell’amore che noi credenti ritroviamo nel Padre-e-Madre di tutti che proprio a questo mondo ha dato origine. E continua a tenerlo in vita. Cibo sano è guardare le nuove generazioni con fiducia: in fondo noi, adulti di oggi, che cosa abbiamo di più di loro? Chi ci autorizza a ritenerci migliori? Forse la nostra età matura? Se siamo stati capaci di portare avanti la vita, la società, la politica, tanti valori, umani e religiosi, negli anni del dopoguerra o nei critici anni ’70, perché i giovani di oggi non dovrebbero trovare in se stessi la forza di continuare nella costruzione del mondo e della società? Addirittura migliorandoli?

 

L’anima e il corpo non sono l’una prigioniera dell’altro o l’uno zavorra per l’altra. Siamo sempre noi: anima e corpo e mente. Cibo sano per l’anima è la speranza. Cibo sano per la mente è la ricerca della conoscenza. Cibo sano per il corpo è l’utilizzo equilibrato dei beni della terra e la consapevolezza che il nostro spreco è veleno per chi non ha di che nutrirsi.

 

Ci auguriamo un’estate in buona armonia. Mente, anima e corpo!