10 lug 2016
Da una sentenza della Corte di Cassazione. Riflessioni
Adozioni e bambini
Il mese scorso la Cassazione ha confermato una sentenza della Corte d’Appello di Roma che aveva autorizzato una donna ad adottare la figlia della sua compagna con cui vive, stabilmente, da tredici anni. La bambina è nata con la procreazione eterologa sette anni fa. Il sì della Cassazione, che fa riferimento al cap. IV Adozione in casi particolari della Legge 184/83, scaturisce dal fatto che quella sentenza della Corte d’Appello «realizza il preminente interesse del minore».
Naturalmente i politici, dell’uno e dell’altro schieramento, ci si sono buttati a capofitto: chi plaudendo al fatto che ‘finalmente’ si realizza l’adozione del figlio naturale del partner in una coppia omoaffettiva, nonostante che essa sia stata stralciata dalla legge sulle Unioni civili; chi, dall’altra parte, accusando la Magistratura di stravolgere le leggi dello stato con sentenze ‘creative’ – un eufemismo per parlare di sentenze strampalate o addirittura fuori-legge.
Il preminente interesse del minore. È questo lo spirito e la lettera della Legge 184. L’adozione nasce per garantire a un bambino che non ha la sua famiglia, la possibilità di averne una in cui venire accolto come figlio.
Questa bambina di sette anni vive da sempre con la propria mamma e con la compagna di lei. Pensiamo un momento: se la mamma dovesse venire a mancare – una malattia grave, un incidente... –, preminente interesse di questa bambina non è quello di poter restare a vivere con la compagna della mamma biologica, che, insieme con lei, se n’è presa cura in tutti questi anni? Sarebbe sicuramente molto grave e traumatizzante per la bambina se, venendo a mancare la mamma, dovesse spezzare questo legame affettivo ed essere adottata da persone a lei del tutto estranee.
Cos’altro avrebbe dovuto fare la Magistratura se non decidere per garantire a questa bambina la continuità affettiva, nel suo preminente interesse? Compito dei giudici è tutelare un bambino (un minore, dice la legge) garantendone il suo benessere. Sempre. Perfino quando dovesse essere allontanato dai propri genitori se questi non fossero in grado di prendersene cura in modo adeguato.
In un caso come quello di cui stiamo parlando i giudici hanno agito non solo nel pieno rispetto della legge, ma anche nel pieno rispetto del benessere della bambina.
Ma ora lasciamo questa bambina e la sua famiglia, e spostiamoci su un altro punto. Importante. Un punto che oscilla tra etica e diritto.
Proviamo a farci una domanda, pensando a tutti i bambini e le bambine che facciamo nascere in una situazione in cui, fin dall’inizio della loro vita, non ci sono un padre e una madre. Mi riferisco al bambino che fa nascere una donna, che non ha un compagno, con la fecondazione eterologa, o al bambino che fa nascere un uomo, che non ha una compagna, con la cosiddetta maternità surrogata.
Qui dobbiamo riprendere un punto che abbiamo già incontrato in altre occasioni.[1]
Soggetto di diritti non siamo noi adulti, ma i bambini. Non siamo noi, cioè, che abbiamo diritto ad avere un figlio; è un figlio che ha diritto ad avere un padre e una madre. Questa ‘legge’ non l’ha inventata nessuno. Né partito politico, né religione. È una legge della natura: senza l’apporto di un uomo (padre) e di una donna (madre) un bambino non può venire al mondo. Così è per l’animale-uomo. Come per tutte le altre specie.
Questo mi porta a parlare di violenza verso un bambino quando lo mettiamo al mondo in una situazione, fin dal principio, anomala per lui. Che sia una donna a volerlo concepire senza garantirgli anche un padre o che sia un uomo a volerlo far crescere nell’utero di una donna che poi non sarà sua madre.
Su questo tema che, come dicevo, attraversa valori etici e aspetti giuridici, dobbiamo riflettere molto attentamente e, anche se difficile, dobbiamo farlo senza cadere in posizioni preconcette o di parte.
L’etica non si fonda né su una religione né su un partito: essa nasce nel rispetto dell’essere umano e della sua natura.
Se torniamo ora al nostro punto di partenza di oggi, possiamo dire che compito del giudice è valutare il preminente interesse del minore partendo dalla situazione di fatto in cui egli oggi si trova. Qui parte la sua valutazione e qui si ferma.
Ma noi dobbiamo andare oltre. E chiederci: è nel preminente interesse di un bambino farlo nascere da una madre senza padre o da un padre senza madre? A questa domanda non possiamo sfuggire. Come società civile. Non possiamo sfuggire noi cittadini. Né può farlo il legislatore. È importante che teniamo aperto il discorso. Confrontandoci, gli uni gli altri, sulle rispettive posizioni. Ma, soprattutto, sulle ragioni che ad esse sottostanno.
Nell’interesse dei bambini. Nell’interesse di una società libera e rispettosa di tutti. Soprattutto dei più piccoli.