27 mar 2016
Il lungo e difficile viaggio dalla paura alla resurrezione
Buona Pasqua!
Sì, è un viaggio lungo. Difficile. Dalla paura alla pienezza della vita. Difficile perché s’intrecciano in noi dimensioni diverse, incapaci certe volte di dialogare fra loro e di donarsi reciproco sostegno.
Comincia male la storia dell’uomo. Meglio, comincia bene, ma questo bene dura poco. Visto con gli occhi del mito, la storia delle origini ci fa entrare appieno nel limite dell’umano. Di un’umanità che poco dopo aver visto la luce, si perde. Disorientata. L’adàm (= l’essere umano) chiamato alla vita dalla Vita-Dio, si scopre nudo, indifeso. E ha paura. Nel racconto biblico il Creatore passeggia nel giardino per incontrarsi con la sua creatura. Ma non la trova. Allora la chiama: “Dove sei?”. E l’uomo risponde: “Ho sentito i tuoi passi nel giardino e ho avuto paura...” (Genesi 3,9-10). Ho avuto paura.
Nella Bibbia gli studiosi hanno contato questa parola ben 128 volte, 94 nel Primo Testamento e 34 nel Nuovo. È solo una curiosità questa, ma non sarà un caso se anche in tempi remoti l’uomo sentiva che la paura accompagnava i suoi giorni.
La medicina e la psicologia, nel loro catalogo di malanni, hanno inserito perfino un disturbo specifico immerso nella paura. Disturbo da attacco di panico (DAP), così lo chiamano. E non si trova, purtroppo, nel capitolo delle malattie rare. È un capitolo molto letto. È un disturbo che incontrano tante persone. La lingua italiana distingue bene tra paura e panico. La prima è una reazione giusta, adeguata e preziosa di fronte a situazioni difficili o pericolose; il panico è una reazione esagerata a una situazione che potrebbe anche far paura (come può essere un esame, un colloquio di lavoro, un incontro con una persona che ci mette in difficoltà), ma non potrebbe mai metterci in pericolo di vita. Il panico è questo, invece: sono in pericolo di vita.
Ma parliamo di paura e di panico a Pasqua?
Sì. A Pasqua. Che, per noi cristiani, è una proposta di gioia. Di luce. Di Vita. Ma è una festa che la nostra mente non riesce a fare propria. È del tutto fuori dalla sua portata, immersi come siamo nella dimensione del limite. Della precarietà. Del dolore, perfino. Limite, precarietà e dolore che, giorno dopo giorno, camminano con noi. E con essi cammina la morte. La resurrezione ci parla di Vita. La nostra vita ci parla di morte. Guerre, fame, malattie, terrorismo. Paura.
È un salto che ci viene proposto dalla Pasqua. Un passaggio – la parola ebraica pèsach, da cui ha origine pasqua, significa proprio passaggio –, un passaggio dalla sola fiducia nella ragione, nella capacità di riflettere, nella consapevolezza, alla fiducia in una Parola che è Altra. Un ampliamento della fiducia. Così ampio, che ci vediamo costretti a introdurre un termine nuovo per definirla: fede.
Nella resurrezione di Gesù si può soltanto o credere o non credere. Niente e nessuno può dimostrarne la verità storica. Nessun ragionamento, nessuna prova empirica o di laboratorio può sostenere la nostra fede (= fiducia) nella Parola del Dio della Vita. Nell’esistenza storica di Gesù di Nazareth non è necessario ‘credere’: essa è un fatto. Non conosciamo i tanti particolari che il nostro pensiero moderno vorrebbe conoscere di un personaggio storico, ma i dati di cui disponiamo sono sufficienti per rispondere a eventuali dubbi o domande.
Nella sua resurrezione, invece, possiamo soltanto credere. Non abbiamo prove. Perfino le prime comunità di cristiani, quelle in cui sono nati i quattro testi dei Vangeli, si muovevano tra notizie e racconti diversi e piuttosto confusi. Il testo di Marco, il più antico, nella sua stesura originale non ne parla neppure: vi è stata fatta un’aggiunta successivamente.
Perché dico questo? Proprio perché ci troviamo di fronte a un’esperienza di cui non abbiamo esperienza. Sulla vita di Gesù, fino alla sua morte, possiamo muoverci abbastanza tranquilli. Ma la sua resurrezione è altro.
Per questo lo psicologo oggi, con gli strumenti della sua scienza, ha poco da dire. Può dire che credere non rientra nei capitoli della patologia mentale. Che chi crede non per questo è ‘malato’. Può dire anche che poter credere è una risorsa nella vita. Una risorsa che non è così facile coltivare, dal momento che è sempre in agguato il rischio di confondere la fede (= la fiducia in Dio Madre-e-Padre) con la religione (che tante volte si riduce a un insieme di regole, di precetti e di tradizioni che diventano prigione piuttosto che libertà).
È di conforto poter dire: “Il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò paura? Il Signore è difesa della mia vita, di chi avrò timore?”, oppure “Nell'ora della paura, io in te confido” (Salmi 26,1 e 55,4).
Il nostro Buona Pasqua! oggi vuol essere un invito a condividere questa fede-fiducia nella Vita. Che è più forte della morte.