13 mar 2016
A 15 anni si dà fuoco per il suo Tibet
Dimenticato dal mondo
Oggi usciamo dalla nostra piccola Italia e portiamo lo sguardo su una parte del mondo dimenticata da tutti. Da tutti: buoni e cattivi, di destra e di sinistra, credenti e non credenti, cattolici e laici, occidentali e orientali, del nord e del sud.
Dal 1959 – era proprio marzo – il TIBET vive sotto l’occupazione della Cina. Dovrei dire meglio: sopravvive. Perché oltre al controllo con l’esercito e la polizia, il Governo di Pechino sta portando avanti anche un’invasione culturale: è in pieno atto l’occupazione del territorio tibetano da parte di cinesi che si trasferiscono in questo paese con l’intento di cancellare, giorno dopo giorno, le tradizioni e la cultura di quel popolo.
Quando dieci anni fa ebbi l’occasione di andare in Tibet, ho incontrato un paese ‘stonato’. Come un’orchestra dove, accanto a musicisti, senza abito da cerimonia, che danno voce alla buona armonia, ne siedono altri, eleganti sì, ma con spartiti presi a caso, e impegnati soltanto a coprire, con il rumore dei loro strumenti meccanici, il suono tenue e armonico dei primi.
Cinesi che di fronte alle case, povere ma vere, dei pochi tibetani che vi sono rimasti, ne costruiscono altre, sfarzose e forzatamente simili a quelle del posto. Brutte copie di un originale antico e vero. Ma destinate a sopraffarlo. Fino a farlo morire per asfissia. Il Potàla, antica residenza del Dalai Lama e dei suoi monaci, anima prima della capitale e dell’intero paese, compare oggi come un vecchio leone, prigioniero in una gabbia di palazzi sfarzosi e ostentatamente moderni.
Cosa sta succedendo? Perché il mondo ignora completamente questo paese? Noi siamo presi dalla pazzia del cosiddetto Stato Islamico, preoccupati per il petrolio da cui tutti dipendiamo, spaventati a morte dal terrorismo che lo sostiene. Stretti dalla crisi economica con cui ogni giorno dobbiamo fare i conti. L’Europa non sa che pesci prendere con l’invasione (così la chiamano!) degli immigrati. Gli Stati Uniti hanno le elezioni a cui pensare. Perfino alla Corea del nord, prigioniera di quattro fantocci, diamo attenzione, preoccupati per quei missili con cui stanno giocando. Consapevoli che, se li lasciamo fare, qualcuno potrebbe anche cadere sulle nostre teste.
E il Tibet? Perché non lo vede più nessuno?
Onestamente non è poi così difficile trovare una risposta. Prima di tutto il Tibet non ha il petrolio. Sì, è la riserva più ricca di acqua di tutta la terra, ma noi siamo lontani e ancora pensiamo (ci illudiamo?) che di acqua ne abbiamo abbastanza. Poi non spara missili. Né arma terroristi che possono entrano nelle nostre case.
Il Tibet è una terra ricca di spiritualità. Ma noi di questa non sappiamo più che farne. Non si mangia. Né si quota in borsa. È una terra ricca di silenzio. Ma che ne facciamo? Il silenzio. Anzi, più siamo immersi nel frastuono, meno ci ritroviamo con i nostri pensieri. Ma il Tibet è anche un popolo. Sì, ma non è ora che la smettano di fare tante storie? Si rassegnino: la Cina porta civiltà, benessere, capitale, cemento, asfalto, alcool, inquinamento e... tanto altro!
Cosa fare allora dal momento che i governi, le religioni perfino, l’ONU stessa sembrano aver dimenticato questo paese? Ecco l’ultima risposta.
Il 29 febbraio Dorjee Tserin, un ragazzo tibetano di 15 anni, si è dato fuoco nella cittadina di Herbertpur, nel nord dell’India, dove vive, profugo, con la sua famiglia. È andato a trovare il nonno nella casa per anziani tibetani e lì, gridando “Il Tibet è un paese libero”, si è dato fuoco. “Mi sono deciso a bruciare me stesso come un chomedey (lampada burro) perché il Tibet è occupato dalla Cina. Ieri, ho sentito come se il bruciarmi fosse l'unica risorsa che mi è rimasta. Credo che quest’atto provocherà uno scossone in chi ne sentirà parlare. La gente penserà che un ragazzo si è bruciato per il suo paese e questo servirà a creare consapevolezza”. Così riporta le sue parole il Tibet Times. Ora il ragazzo è ricoverato in gravissime condizioni nel reparto di terapia intensiva al Safdarjung Hospital di New Delhi.
Quanti quindicenni dovranno ancora bruciare perché il mondo si svegli?
Caro Dorjee, qui da noi non è ancora arrivato il fumo che ha avvolto il tuo corpo. Non l’hanno visto i nostri governi. Neppure le religioni, compresa quella più vicina a noi, prigioniera com’è nei ricatti del Governo cinese. Ma di sicuro esso è salito verso il cielo e lì è arrivato. Io conto che un giorno, spero non troppo tardi per te e per noi, Colui che vi abita ce lo rimandi giù, perché ci avvolga. Vedrai, risvegliàti, sapremo condividere con te la lotta per ridare VITA e LIBERTÀ al tuo Paese.
Cfr: Il giorno della vergogna, 24.03.2019 (Pubbl. in corso)