30 ott 2016
A proposito della visita del Dalai Lama a Milano
Il lupo e l’agnello
Ad rivum eundem lupus et agnus venerant...
Così inizia una delle favole più conosciute tra quelle che ci ha tramandato il nostro Fedro, duemila anni fa.
Un lupo e un agnello spinti dalla sete erano andati allo stesso ruscello. Il lupo stava più in alto e l’agnello molto più in basso. Allora il prepotente, spinto dalla gola insaziabile, portò un motivo di litigio. “Perché - disse - mi hai reso torbida l’acqua che bevo?”. L’agnello, timoroso, rispose: “Come posso fare quello di cui ti lamenti, o lupo? L’acqua scorre da te verso di me”. Quello, respinto dalla forza della verità, “Sei mesi fa tu hai parlato male di me” gli disse. E l’agnello: “Ma io non ero ancora nato”. “Tuo padre, per Ercole, ha parlato male di me”. Così il lupo lo sbrana, dandogli una morte ingiusta.
Conclude Fedro: Questa favola è scritta per quegli uomini che con falsi pretesti opprimono gli innocenti.
Non sarei capace di descrivere in modo più efficace la storia del rapporto tra la Cina e il Tibet.
Era il 1959. L’esercito della Repubblica Popolare Cinese occupa definitivamente il Tibet. Da allora, da cinquantasette anni, un Paese libero, ricco delle sue tradizioni e della sua cultura, scompare dalla carta geografica del mondo e diventa una regione del grande invasore: la Cina. Molti tibetani son dovuti fuggire e vivono tuttora in esilio. La maggior parte di questi in India. Fra loro anche il Dalai Lama, guida spirituale di quel popolo e del buddismo tibetano.
Già altre volte ne parlammo in questi nostri incontri.[1] Ora l’occasione ci è data dalla sua visita a Milano, dove ha incontrato il Card. Scola, vescovo della diocesi, e il sindaco Sala dal quale ha ricevuto la cittadinanza onoraria.
Naturalmente non è mancata la solita protesta del governo cinese. Subito l’ambasciata: «Il fatto che il Consiglio comunale e le altre istituzioni siano presenti con connivenza (!) alla visita del Dalai Lama e gli conferiscano la cittadinanza onoraria ha ferito gravemente i sentimenti del popolo cinese»; aggiungendo addirittura minacce di ritorsioni: «Tutto ciò ha un impatto negativo sui rapporti bilaterali e sulle cooperazioni tra le regioni dei due Paesi»; e conclude: «La Cina con i suoi rappresentanti istituzionali esprime forte rimostranza e ferma opposizione».
Ora, che il governo cinese, gigante in economia quanto moscerino in fatto di diritti umani, continui a tremare di fronte a questo vecchio monaco, non ci sorprende più. Per Pechino parlare di diritti umani è come... bestemmiare in chiesa. Basta che il Dalai Lama esca dall’India, che subito Pechino protesta e mette in campo minacce di ritorsioni nei confronti di chiunque, al mondo, osi ospitarlo e riceverlo. E anche stavolta non è stato da meno.
Niente di nuovo, dunque. Se non fosse che un gruppo di cinesi, che ormai vivono stabilmente nel nostro Paese, si è fatto notare per aver inscenato una manifestazione contro la presenza del Dalai Lama e l’accoglienza che Milano gli ha dato.
L’ombra di Pechino fino a Milano? Marionette guidate a distanza da un regime che ha cancellato dal suo vocabolario le parole democrazia e diritti umani? Spaventati per possibili ritorsioni nei confronti di amici o parenti che ancora vivono in Cina? Non so rispondere. Certo mi piacerebbe che, vivendo in Italia, magari anche con il desiderio-progetto di diventarne cittadini, imparino a leggere la storia con i propri occhi e calino dal naso gli occhiali che il governo cinese impone ai propri cittadini. E al resto del mondo.
La Siria, l’Isis e tutto il Medio Oriente invadono ogni giorno i nostri pensieri. Giustamente. E riescono a non farci dormire sonni tranquilli neppure a casa nostra. Mi domando: verrà mai un giorno in cui ci sveglieremo per ascoltare anche la sofferenza di un popolo, quello tibetano, che ci parla con il suo silenzio, e non ci porta né petrolio né terrorismo?
Diamo uno sguardo al ruscello di Fedro: non sentite anche voi di dover un po’ di solidarietà a quel povero agnello?
Plauso e condivisione, dunque, con il Comune di Milano che, al di là di ogni colore politico, ha saputo accogliere il rappresentante di un popolo privo della sua libertà e dimenticato dalla maggior parte dei governi del mondo libero. Stessa condivisione con il Vescovo che, almeno un po’, ha riscattato due episodi spiacevoli avvenuti nel 2014 e nel 2007, quando in occasione di due summit dei Nobel per la Pace, a Roma, il Dalai Lama, guida spirituale di un popolo oppresso, non ha trovato la stessa accoglienza.
[1] La mente e l’anima, Vol. 1°, pag. 82, pag. 85, pag. 120, pag. 230; Vol. 2°, pag. 216; Vol. 3°, pag. 30; Vol. 4, pag. 176