1 mag 2016
Per comprendere meglio il problema del bullismo
La debolezza del bullo
Più volte arrivano nel mio studio genitori preoccupati per un figlio vittima di bullismo. A scuola. O anche nei social. Più di rado vengono genitori preoccupati perché è il loro figlio a fare il bullo.
Proviamo oggi a fare qualche riflessione perché di fronte a questo fenomeno rischiamo facilmente di restare in superficie, presi come siamo dalla preoccupazione per la vittima, senza renderci conto che le vittime – se volgiamo usare questa parola – sono due: il bullo e la sua preda. Credo che questo sia proprio uno di quei casi in cui, come si usa dire, l’apparenza inganna. Guardando il bullo, lui (o lei) appare subito come uno forte, disinibito. Uno che non ha bisogno di nessuno. Più ancora, uno che non ha paura di nessuno.
Ma proviamo ad avvicinarci, e osserviamo alcuni aspetti.
Un primo.
Come agisce il bullo? È subito evidente che non agisce mai da solo. Lui ha bisogno del suo codazzo. I gregari. Persone deboli, che vivono alla sua ombra. Persone che hanno bisogno di nascondersi. Due volte nascosti: dietro l’apparente coraggio del capo, e dietro l’anonimato di un gruppo. Persone ‘senza nome’. La cui identità si con-fonde dentro una massa indifferenziata. Il loro io è indifferenziato. Un io solo gruppale. Quindi fragile.
Ma anche l’io del bullo è fragile. Egli non agisce di luce propria. Di forza propria. Egli opera attraverso la forza che gli viene dalla presenza dei gregari. Non possiede il bullo un’identità forte, chiara, riconosciuta. Egli non sa rapportarsi alla pari con gli altri. Ragazzi o bambini. Né sa costruire un rapporto sufficientemente libero e reciprocamente rispettoso con l’adulto: l’insegnante a scuola o l’allenatore nello sport. Per dire a se stesso e agli altri che lui esiste, ha bisogno del sostegno dei gregari. Ha bisogno che questi entrino nel suo campo d’azione.
Un secondo aspetto.
A quale bisogno risponde il comportamento del bullo? Se l’osserviamo bene, subito notiamo che il suo comportamento gli serve per emergere in un contesto nel quale, in genere, lui non ha la competenza necessaria e sufficiente per essere alla pari con gli altri. Tipico è il bullo della classe o di una squadra sportiva. In genere si tratta di un ragazzo o di un bambino che come rendimento è piuttosto scarso. È uno che non solo non è tra i migliori, ma di solito è abbastanza al di sotto di una media accettabile. In questo contesto, dunque, per emergere, visto che quella del rendimento (scolastico o sportivo) gli è piuttosto difficile da percorrere, non gli rimane che passare attraverso un’altra strada. Quella del comportamento. A questo punto deve scegliere: o si deprime e si chiude in se stesso, o cerca di emergere diventando aggressivo, indisponente, violento. In una parola, facendo il bullo.
Attenzione. Questo processo – che io ho definito ‘scelta’ – non è un processo consapevole: la direzione in cui la sua energia viene impiegata, dipende da tanti fattori, sia personali sia propri del contesto in cui il ragazzo si ritrova.
Guardiamo un terzo aspetto.
Chi è la vittima del bullo? È la persona più fragile del gruppo. Questa sembrerebbe una legge naturale: l’animale cacciatore punta sull’individuo più debole tra le sue prede. Il minimo sforzo per il massimo rendimento, diremmo. Ma questo vale per la legge della foresta. È così anche tra gli umani? Sì, se il cacciatore è debole. No, se egli è forte.
Provo a spiegarmi.
Una persona sufficientemente forte, in rapporto alla sua età e al suo contesto di vita, ama confrontarsi con chi è altrettanto forte. Un peso-massimo non sarebbe certo soddisfatto nel vincere un match con un peso-piuma. Né un fisico si glorierebbe nel comprendere meglio di un bambino di 1a elementare la teoria della relatività. L’essere umano ha la grande capacità di mediare con la sua intelligenza le diverse scelte che di giorno in giorno la vita gli mette davanti. E questo lo rende capace di valutare, quindi di scegliere, i suoi comportamenti.
La persona debole, invece, non accetta di misurarsi con gli altri. Se non con chi, ai suoi occhi, appare più debole di lui. È per questo che il bullo non si misura con i forti, ma con i deboli: i deboli nel campo in cui lui si ritiene forte. Se la sua forza è la prepotenza, sceglierà una persona mite. Se la sua forza è la spavalderia, adocchierà un timido. Se la sua forza è la sua stazza, sceglierà un mingherlino.
Dove ci porta tutto questo?
A vedere che ad aver bisogno di aiuto è più il bullo che la sua vittima. Lo so che sembra paradossale. Ma è importante che i suoi adulti (insegnanti, educatori, genitori, istruttori o allenatori) l’aiutino a ritrovare la fiducia in se stesso. A vedere che certe sue difficoltà, di rendimento o di socializzazione, possono essere superate. Che anche lui merita stima e considerazione. E affetto.