13 nov 2016
Il terremoto, un difficile compagno di viaggio
Piccoli piccoli
Cara madre terra – così ti abbiamo chiamata fin dai tempi antichi – e nostra giovane casa, tu continui ad assestarti. A cercare e costruire il tuo equilibrio. Ma ti rendi conto dei danni che procuri a noi, tuoi inquilini? Tu hai ragione. Ma le tue ragioni a volte non coincidono con le nostre. E quella di adesso è proprio una di queste. Perché ciò che tu chiami assestamento, noi lo chiamiamo terremoto.
Questi tuoi movimenti, per te piccoli, come quando noi ci sistemiamo su una sedia per essere più stabili e stare più comodi, per noi sono enormi. E drammatici. Quando ti muovi distruggi le nostre costruzioni. Sembri ignorare noi, piccoli uomini, che da qualche milione di anni viviamo con te.
È vero, non è che ti trattiamo proprio bene. Certe volte ti forziamo, secondo i nostri piani. Consumiamo stupidamente le tue risorse, dilapidandone le fonti. Ti togliamo il respiro – che poi significa ci togliamo il respiro – inquinando la tua atmosfera.
Abbiamo costruito strumenti affascinanti per studiare la natura, ma dimentichiamo che noi non ne siamo gli architetti. Tu, parte di questa natura, hai la tua storia. E i tuoi progetti. E molto probabilmente ci chiedi di usare l’intelligenza di cui ci hai dotati per ascoltarti e conoscerti meglio.
Un tempo ti pensavamo piatta e circondata dai mari. Tutto girava intorno a te. E a noi. Il sole, la luna, le stelle. Che in un alternarsi continuo, viaggiando sulla volta celeste che ti ricopriva, definivano le notti e i giorni. Poi, sulle ali della nostra intelligenza, ci siamo sollevati un po’ e t’abbiamo scoperta come un pianeta, bello e unico nella sua armonia, che, insieme ad altri tuoi compagni, viaggi, anno dopo anno, intorno alla tua stella. Appena cinquecento anni fa ce ne siamo accorti. Ne erano passati quasi cinque milioni da quando abbiamo iniziato la nostra storia con te. È stato uno dei nostri, si chiamava Nicolò Copernico. Ci ha sconvolti, per la verità, con le sue idee. E noi ce l’abbiamo messa tutta per non voler vedere. Poi è arrivato Galileo, poi altri ancora, e alla fine ci siamo dovuti ricredere: non eravamo noi il centro dell’universo. Né lo eri tu.
Poi non ci siamo più fermati. E abbiamo visto che neanche il nostro sole è il centro. Tu con noi, i pianeti, tuoi compagni di cammino, e il sole stesso non siamo che un piccolo sistema dentro una galassia così grande che la luce per percorrerla tutta impiega centomila dei nostri anni. Via Lattea l’abbiamo chiamata. Poi – tu questo già lo sapevi ma hai aspettato che noi, tuoi abitanti capaci di pensieri e di consapevolezza, ci arrivassimo con le nostre forze –, poi abbiamo scoperto che anche la nostra galassia non è che una fra tante. Che, con i nostri numeri, proviamo a contare. Ma ci perdiamo: la parola milioni ci fa girare la testa. Sapere poi che l’universo ancora continua ad espandersi... qui proprio ci perdiamo.
Ma torniamo a noi. Al nostro piccolo. A questi tuoi assestamenti. Che ci sconvolgono. E ci spaventano. Lo sappiamo che certi tuoi paesaggi, così belli da toglierci il respiro certe volte, sono anch’essi il risultato dei tanti tuoi piccoli assestamenti. Antichi e lontani. I mari, le montagne, i ruscelli e i fiumi si sono formati così, nel tempo. Nei tuoi tempi. Che tu misuri in miliardi dei nostri anni.
Ma non riusciamo ad accettare che tu continui ancora. Lo sappiamo che sei giovane, e come tutti i giovani sei anche irrequieta e non ti accontenti di dove sei arrivata. Ma ci piacerebbe che questa ricerca di stabilità e di equilibrio tu possa farla rispettando quanto noi abbiamo fatto. Anche nel tentativo di contribuire a renderti ancora più abitabile e più bella.
Sì, te ne facciamo vedere tante. Non ti trattiamo sempre bene e con quel rispetto che si deve a chi ci ospita e ci accoglie, offrendoci aria, acqua, luce, alimenti e tutto quanto ci serve per vivere. Ma aiutaci a riscoprirti madre e non matrigna.
Magari noi impareremo a costruire le nostre piccole case rispettando questo tuo bisogno di crescere e di stabilizzarti. Le chiamiamo antisismiche. Potremmo chiamarle anche sintoniche con i tuoi equilibri. E rispettose dei tuoi bisogni. L’impareremo, sai. Impareremo anche a rispettarti cercando di collocarci in quei tuoi spazi più stabili. Che hanno meno bisogno di muoversi, di accomodarsi, perché questo lavoro l’hanno già fatto nel passato. Ma adesso siamo spaventati.
Ora fermati un momento, se puoi. Non dimenticare che, se pure ingrati e irrispettosi tante volte dei tuoi equilibri, siamo pur sempre figli tuoi. Piccoli piccoli di fronte a te. Ma sei tu che ci hai voluti e ti sei voluta ornare e arricchire di esseri viventi intelligenti e capaci di costruzioni che ti rendono ancora più bella.