VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

31 gen 2016

Per non costruirci un Dio a nostro uso e consumo

Povero Dio!

Certo che deve averne proprio tanta di pazienza! Chi lo tira di qua, chi di là. Tutti ne parlano. Tutti ne parliamo. Da quando discutiamo, litighiamo, ci dividiamo tra credenti e non credenti, alla ricerca di prove sulla sua esistenza o non esistenza, a quando sosteniamo che la ‘nostra’ immagine di lui è giusta e quella degli altri è sbagliata. A quando costruiamo sistemi di pensiero – che chiamiamo religioni – e li usiamo come strumenti di divisione o addirittura di conflitto. Parliamo di lui e non ci rendiamo conto che in fondo non facciamo altro che costruircelo come più ci piace. A immagine e somiglianza nostra. Con tutti i nostri limiti. E con le nostre piccolezze.

Abbiamo sentito di recente uomini di religione invocare la vendetta divina sui loro nemici. Abbiamo visto vignettisti rappresentarlo come un vecchio barbuto con un kalashnikov sulle spalle e l’abito insanguinato. Lo sentiamo tirare in ballo con cosiddetti editti religiosi (fatwa) che parlano di morte. Lo trasciniamo con noi perfino in certe manifestazioni di piazza.

E voglio fermarmi solo al menu di questi ultimi giorni. Perché se dovessimo guardare anche al passato, la storia ci ricorderebbe di quante nefandezze e atrocità ci siamo nutriti, nascosti dietro il suo nome.

 

Se dovesse comportarsi come facciamo noi, saremmo sempre sotto processo per le querele che ogni giorno dovrebbe presentarci contro: oltraggio, calunnia, diffamazione. E chi sa quanto altro. Ma non credo che lo faccia.

Poi mi chiedo chi potrebbero essere i suoi avvocati. E chi i giudici, in grado di fare giustizia tra lui e noi. In realtà, un’idea io ce l’avrei. Di avvocati potrebbe averne tanti. Di giudici pure. Entrambi capaci di difenderlo dalle nostre aggressioni.

Avvocato di Dio è quel bambino che perde la vita nella traversata del Mediterraneo. È quel bambino, vittima del Daesh, che con il braccio alzato e il dito puntato sugli occidentali minaccia il mondo di morte. È quel bambino, o quell’adulto, disabile, costretto ogni giorno a faticare e lottare per vivere in un mondo che volentieri farebbe a meno di lui. È quel vecchio genitore che i figli hanno dimenticato in casa da solo o in qualche ospizio. Avvocato di Dio è quel bambino difettato che non può nascere perché nessuno lo vuole.

E giudici tra noi e lui sono tutti coloro che con il nostro benessere costringiamo a vivere nella miseria e nella fame. E nella guerra.

 

I testi sacri delle tante religioni ci parlano di Dio con parole che richiamano amore, misericordia, accoglienza, perdono. Nel Corano tutte le 114 shure (capitoli) iniziano «Nel nome di Dio clemente e misericordioso (âlRahimu)». La Bibbia più di 260 volte parla di Dio come amore e cura materni (Rachamim, da rechem = utero).

 

Ora però vorrei fare con voi un altro passo. Per non cadere nel pericolo di prendere per buone certe immagini di lui che ci elargiscono gli esperti. I cosiddetti addetti ai lavori.

Come facciamo quando desideriamo conoscere una persona? Ne parliamo, magari, o ce ne facciamo parlare da altri. Chiediamo informazioni. Ma non basta. L’esperienza ci dice che non basta parlarne o sentirne parlare. È necessario parlarci. È solo incontrando una persona, frequentandola, parlandoci, che pian piano ci facciamo conoscenza. Non sarà così anche con lui?

Ma come parlarci? Dove trovarlo?

In un libro della Bibbia c’è una piccola storia che mi sorprende sempre. Elìa è un uomo sfinito. Il momento è proprio duro per lui: i suoi nemici cercano di ucciderlo. Disperato e stanco si rifugia in una caverna e cerca un contatto con il suo Dio. Continua il racconto: «Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento, un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto, un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera. Come l’udì, Elìa si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna». È qui, nel sussurro di una brezza leggera, che può incontrare il suo Dio (1 Re 19,11-13).

 

Sembra proprio che lui non ami il rumore e il frastuono. A Dio piace il silenzio. La quiete. Ma qui... casca l’asino. Quanto silenzio noi riusciamo a coltivare nelle nostre giornate? Un silenzio che ha due volti. Il primo, la libertà dal rumore e dalla confusione. Quelli che ci imbandisce la Tv sempre accesa o Internet sempre connesso. L’altro, la riscoperta della capacità di stare con noi stessi. Con i nostri pensieri. Per ascoltarli. Per dialogare con loro. Quei pensieri che ci aiutano ad accorgerci che siamo vivi.

E che cos’è, meglio, chi è Dio se non la Vita del Mondo?