4 giu 2017
Criminali ‘psicologi’ conducono ragazzi al suicidio
Blue Whale
“Maestra, parliamo della balena blu?” chiede Marco, un bambino di 4a elementare, alla sua insegnante. Così lei mi racconta, dieci giorni fa, aggiungendo anche che qualche giorno prima aveva sentito un gruppetto di bambini di 5a chiacchierare tra loro di questa stessa cosa. Blue Whale. La balena blu.
Di che si tratta? Di un gioco, diffuso sul web, nato due anni fa in Russia. Da lì si è esportato anche in altri paesi e sarebbe arrivato ormai anche a casa nostra. La stampa ci ha parlato di diversi ragazzi caduti nella rete, anche non troppo lontano da noi. Un ragazzino di 18 anni a Loreto, una di 13 a Pescara, ricoverata proprio questi giorni qui ad Ancona, al Salesi. “Sì, ho provato a giocare al Blu Whale, ne avevo sentito parlare e volevo provare” avrebbe detto quel ragazzo. Aggiungendo poi: “Tanto posso togliermi quando voglio, è solo un gioco”. Ma per fortuna si sono accorti i compagni di classe. E il gioco si è fermato.
Un gioco? Così esso si presenta. Solo che i giocatori non sono alla pari: un ragazzino qui – uno dei nostri figli – e un ‘curatore’ – così si fa chiamare, dall’altra parte dello schermo. Nascosto. Coperto dall’anonimato e dalle fitte maglie di Internet. Un professionista il cui scopo è quello di agganciare il giocatore che cade nella rete e portarlo, in cinquanta giorni, fino al suicidio. A gettarsi dall’ultimo piano del palazzo più alto della città. Facendosi riprendere in un video nel momento in cui si getta giù. In Russia si sarebbero suicidati già 157 ragazzi tra i 9 e i 17 anni. A febbraio le cronache ci hanno parlato di un ragazzo a Livorno.
Cosa fare? Sappiamo molto bene che dietro l’anonimato della rete si possono nascondere persone d’ogni tipo. La settimana scorsa parlavamo dei bulli che vi si nascondono, incapaci perfino di metterci la faccia (cyberbullismo). Oggi dobbiamo parlare di persone ancora più malate nella loro mente. Criminali che approfittano della fragilità di un adolescente al solo scopo di vedere soddisfatta la propria sete di potere. Perché chi si nasconde dietro questo gioco non sono persone comuni. È troppo ben organizzato il tutto. Passo dopo passo. Professionisti. Psicologi? Di certo buoni conoscitori della psiche umana che utilizzano il loro sapere per distruggere giovani vite. Niente di nuovo sotto il sole, direte. In fondo anche nei campi nazisti c’erano medici che usavano il loro sapere per uccidere piuttosto che per curare.
Ora, però, il problema è che non siamo in grado di fermare questa nuova forma di criminalità. La potenza del web è tale che ci sfugge di mano e non abbiamo la possibilità, allo stato delle cose, di bloccare, più ancora, di catturare questi nuovi criminali – uno sembra che sia stato preso. Così il gioco continua.
Allora è di prevenzione che dobbiamo parlare. Con le famiglie e con la scuola. Ripeto: con le famiglie e con la scuola. Anzi, con la scuola più ancora che con le famiglie. Non ci sono altri luoghi o altre persone che possono aiutare i nostri bambini e i nostri ragazzi a sviluppare la consapevolezza dei rischi nei quali possono trovarsi incastrati. Se noi adulti sottovalutiamo il potere di Internet e continuiamo a lasciare i ragazzi soli, ore e ore, davanti ai loro schermi, prigionieri dei social, chi li può aiutare a non cadere in trappole la cui pericolosità essi non hanno ancora la capacità mentale di cogliere?
Dicevo che questo compito spetta alla scuola più ancora che alla famiglia. Attenzione. Non perché la famiglia non sia importante nel processo educativo e maturativo di un bambino e di un ragazzo. Ma perché i genitori, anche i giovani genitori, trenta quarantenni, non hanno la consapevolezza, essi per primi, dell’ambivalenza del web. Chi glielo insegna? Dove vanno a cercare le conoscenze necessarie per cogliere le potenzialità, nel bene e nel male, della rete? Chi può fornire loro occasioni di formazione e di autoeducazione per saper gestire l’uso (e l’abuso) di Internet che fanno i loro figli?
Io ritengo che la scuola si trovi oggi con un nuovo compito. Dal quale nessuno la può esonerare.
È duplice, a mio parere, il compito che l’aspetta. Gli insegnanti hanno bisogno di arricchirsi di una formazione nuova e specifica per conoscere le potenzialità della rete. E per sapere come aiutare alunni e studenti a usufruirne in modo sano e intelligente. Consapevole. Poi i genitori. La scuola dovrebbe diventare luogo di formazione e di educazione anche per loro, perché siano d’aiuto ai propri figli. Quali altre agenzie educative oggi la società mette a disposizione dei genitori? Il partito? La parrocchia? Il circolo culturale? Chi altri, se non la scuola, può svolgere questo compito?