26 nov 2017
25 novembre: giornata mondiale contro la violenza sulle donne
I padri e... la nomofobia
vrò molte contestazioni oggi. Invece di parlare di femminicidi o di stupri, mi permetto di entrare dentro una famiglia normale. Meglio, dentro una famiglia comune. Non ci sono schiaffi, né spinte. Meno ancora lividi dolorosi o ossa fratturate. Magari neanche troppe parolacce o urla, di quelle che sentono i vicini. No. C’è un uomo, c’è una donna, e ci sono due figli. Voi direte: ci sono un padre e una madre. Ecco, è proprio qui il punto.
C’è una madre. C’è un padre?
Entriamo in questa casa e guardiamo un piccolo oggetto. Piccolo, ma potente: il telefonino. Meglio, lo smartphone. Ne abbiamo già parlato, più volte.[1] Per giustizia dovremmo guardarne almeno quattro. O forse anche cinque. Ma oggi ci limitiamo a due: quelli dei figli.
Avete mai sentito parlare di nomofobia? È la combinazione di no- (non) mo- (mobile, telefonino) fobia (paura, panico): panico da mancanza di cellulare. In buona compagnia con la cosiddetta sindrome da disconnessione. È la nuova ‘malattia’ che si sta diffondendo, soprattutto tra le giovani generazioni. Quasi una pandemia.
Parlo di giovani generazioni, anche se l’ente di ricerca britannico YouGov ci dice che oltre la metà degli utenti (53%), quindi non solo i giovani, tende a manifestare stati d’ansia quando rimane a corto di batteria, di credito, o senza copertura di rete, o addirittura senza cellulare.
Quando parliamo di dipendenza da cellulare? Quando non possiamo farne a meno: quando, cioè, non siamo capaci di passare un po’ del nostro tempo senza.
La settimana scorsa chiusi l’articolo complimentandomi (!) con la ministra dell’Istruzione per il suo progetto di far usare lo smartphone anche nelle ore di scuola – come strumento didattico, naturalmente! Evidenziando come una proposta di questo genere non farebbe altro che alimentare lo stato di dipendenza da cellulare che i nostri ragazzi stanno già vivendo in misura preoccupante.
Se non ci credete, guardate i vostri figli. Dodici, tredici, quindi, sedici anni e oltre. Osservate quante ore passano senza avere il telefonino (o il tablet, o il pc) in mano e gli occhi appiccicati sopra. Pochi giorni fa incontrai una famiglia con una ragazzina di quindici anni. Non è stata capace di appoggiare il suo telefonino su una sedia, lì accanto a lei, neppure per dieci minuti: doveva tenerlo in mano e guardarlo continuamente. E nessuno dei genitori si rendeva conto dello stato di dipendenza che Anna sta vivendo. Anzi, quasi sorridendoci sopra, raccontavano di come non se ne distacchi mai. Neppure quando va in bagno. Neppure quando va a dormire: la sera lei e il suo smartphone (= telefono intelligente!) si chiudono in camera e restano svegli fino a tarda ora chattando con i cosiddetti amici.
Se invece del telefonino tenesse in mano uno spinello, avreste, come genitori, la stessa reazione? Come faccio a dirvi che una dipendenza è dipendenza? Che ogni dipendenza è un problema serio?
Se parlassimo di tossicodipendenze (= dipendenze da sostanze tossiche: eroina, cocaina, alcool, nuove sostanze) tutti ci allarmeremmo. Se parlassimo di dipendenza da gioco (una delle nuove e davvero serie dipendenze) inizieremmo a preoccuparci. E la dipendenza da cellulare?
Sapete perché non ce ne preoccupiamo abbastanza? Perché allora dovremmo guardare anche il nostro rapporto, di noi adulti, con questo aggeggio. Prezioso e... infernale. Infernale perché, senza che ce ne accorgiamo, sta diventando il nostro padrone.[2] Non siamo noi a possedere lui: è lui che possiede noi. Non ci permette di allontanarcene.
Se volete fare del male ai vostri figli, ecco alcuni suggerimenti.
Non controllate il tempo che essi passano attaccati allo smartphone (o tablet o pc); non pretendete da loro le password per aprire il telefonino o le loro pagine FaceBook, Instagram, WhatsApp, ecc.; permettete loro di andarci a letto; lasciate sempre nelle loro camerette smartphone, tablet e computer; permettete loro di tenere il telefonino sul tavolo a pranzo e a cena; non fatelo mai spegnere la sera, ma lasciate che rimanga acceso e sopra il comodino (sempre secondo YouGov, più di sei ragazzi su dieci tra i 18 e i 29 anni vanno a letto in compagnia del telefono).
Un bel cocktail di veleni. Per oggi basta.
Che c’entra il 25 novembre? Presto detto. Dove sono i padri nel prendersi cura dei figli perché ‘guariscano’ dalla dipendenza da cellulare? Latitanti. La maggioranza è convinta che sono le madri a doversela sbrigare. Da sole. I figli, in fondo, non sono... delle madri?
Anche questa è violenza. Subdola e sottile.
[1] La mente e l'anima, Vol. 5, pag. 31 con relativi rimandi, in particolare Vol. 4 pag. 221