10 dic 2017
Quando la morte può confondere la nostra mente
Il suicidio e la colpa
Molti di noi avranno visto il generale croato Slobodan Praljak, mercoledì, mentre beveva una pozione di veleno, in diretta televisiva, dopo aver ascoltato la conferma della sentenza di colpevolezza, con la condanna a vent'anni di carcere, da parte del Tribunale internazionale, per crimini di guerra come comandante delle forze croato-bosniache negli anni 1992-95 nell’ex Jugoslavia.
Il giorno dopo la stampa c’informava che nel settore croato di Mostar, la sera stessa, molte persone si sono radunate sulla piazza centrale per rendere omaggio alla memoria dell’ex generale e degli altri cinque croato-bosniaci per i quali pure era stata confermata la condanna di colpevolezza. C’informava anche che nelle chiese cattoliche della città sono state celebrate messe di suffragio, mentre in segno di lutto numerosi locali, caffè e ristoranti sono rimasti chiusi.
Non saprei entrare nel merito dei fatti. Meno ancora saprei esprimere una valutazione fondata in merito a quel dramma che, pur a due passi da casa nostra, ci ha visti in quegli anni quasi spettatori indifferenti. La complessità delle questioni in campo e il peso della storia che spingeva le diverse parti in una guerra tanto distruttiva, mi trovano impreparato e incompetente a valutarne ragioni e torti. So solo dire che ancora una volta abbiamo sperimentato l’assurdità della guerra come via di soluzione di conflitti e disaccordi.
Non molto tempo fa ho incontrato una famiglia. Due figli, una bambina di 12 anni e uno di 7. Anche in questa famiglia un suicidio. Uno zio (che chiameremo Franco), vistosi scoperto per le molestie che da qualche tempo stava mettendo in atto con la nipotina, di fronte al pericolo di dover affrontare un processo, ha preferito togliersi la vita. Dramma su dramma. Per tutti.
Cos’hanno questi due fatti, così lontani, che nella mia mente me li ha fatti avvicinare? Cos’è che fa sì che l’uno mi richiami l’altro?
Due aspetti, credo. La morte. Alla quale non possiamo che avvicinarci con il silenzio e il rispetto che lei chiede ogni volta che ci passa accanto. Silenzio e rispetto ancora maggiori quando prende il nome di suicidio. La colpa. Quella di un crimine di guerra, un crimine contro l’umanità. E quella di un crimine di pedofilia, un crimine contro un bambino.
Entrambi, il generale e lo zio Franco ora si trovano, in compagnia della morte, di fronte alla propria coscienza. Che, libera ormai dai condizionamenti terreni, fa sì che possano vedere la loro colpa alla luce piena della Vita. Non so chiamare in causa la giustizia del Buon Dio, perché non so, io, coniugarla adeguatamente con la sua misericordia.
La mia mente, che parla con i limiti dell’umano, vedrebbe di buon occhio un loro ritorno qui, sulla terra, con il compito di rimediare al male che hanno fatto. Per riscattare la loro colpa. Per riprendere quel cammino verso la pienezza della Vita cui, credo, tutti siamo chiamati. Perché ritrovino un tempo propizio e le opportunità necessarie per lasciarsi purificare da quel male da cui, in questa fase della vita trascorsa, si sono lasciati contaminare.
Ma questi sono soltanto miei pensieri. Magari anche condivisibili da qualcuno. Pensati da tanti prima di me. Culture e tradizioni religiose, lontane nel tempo, li hanno costruiti e, sia pure con tante diversità, proposti e codificati. Ma sono la Verità? Chi può dirlo?
Una cosa credo di poter dire. Se la morte e il suicidio ci chiedono silenzio e rispetto, non possono però chiederci di cancellare la colpa. Se un uomo, con la responsabilità di un esercito, ha permesso o addirittura ordinato violenze e atrocità oltre il limite dell’umano, anche se non ha saputo affrontare la giustizia umana dandosi la morte, rimane colpevole dei suoi crimini. Come rimangono con tutto il loro dolore le vittime, dirette o indirette, delle sue azioni.
Se un altro uomo, con la responsabilità di adulto cui veniva affidata una bambina, per di più della sua stessa famiglia, ha approfittato di lei, della sua infanzia e della sua fiducia, inquinandone la mente e il cuore, anche se ha pensato bene di punirsi consegnandosi alla morte, rimane con la sua colpa. Come resta con tutta la sua pena e la sua sofferenza la nipotina che, pur con il passare degli anni, conserverà i segni di tanto dolore.
Ben vengano le messe di suffragio di Mostar; ben vengano le preghiere, con il cuore colmo di dolore, che i genitori e i fratelli dello zio Franco fanno in suo nome. Ma non confondiamo le vittime con i colpevoli. Meno ancora, credo, possiamo definire eroico il loro suicidio.