22 gen 2017
Troppo spazio diamo a terrorismo e cronaca nera
La cassa di risonanza
Perché il suono di una corda di chitarra possa arrivare a chi ascolta, è necessario che una cassa di risonanza lo colga e gli dia forza. Così per la corda di un violino o di un pianoforte. Nessuno, che non sia a pochi centimetri dalla corda che vibra, potrebbe sentirne il suono. Perfino la sua qualità, che i musicisti chiamano timbro, dipende strettamente dalla cassa armonica. È così anche per la nostra voce: è la cassa di risonanza che ne determina la forza e il colore. Tutti, bambini o adulti, abbiamo giocato in certi angoli di montagna con la nostra voce, quando sentivamo un nostro richiamo risuonare da una parete all’altra e amplificarsi, continuando il suo corso anche dopo che avevamo smesso di parlare.
Perché una notizia cammini per il mondo, è necessario che i mezzi di comunicazione la prendano e l’amplifichino. Più potente è il mezzo usato, più vasta è l’eco che ne segue. Più a lungo viene ripetuta, più grande sarà lo spazio che essa raggiunge.
Nell’era delle comunicazioni, dove una notizia, un fatto, perfino una persona esistono solo se e quanto se ne parla, chi ha bisogno di esistere non può fare a meno di dire o fare qualcosa di cui si continui a parlare. In fondo non è questo che porta certi politici a spararne una dopo l’altra? Non lo fanno certo per mostrare la loro intelligenza: ne sarebbero subito squalificati. Lo fanno perché tanto rumore significa tanta presenza.
Un atto di terrorismo fa rumore. Non solo per le cinture esplosive, i kalashnikov o i grandi tir. O per il numero di morti che si porta dietro. Il suo rumore è ancora più potente per la cassa di risonanza che gli mettiamo a disposizione. Così per quei fatti, terribili, come l’uccisione di una compagna o di un figlio. O quella di due genitori.
Dobbiamo rifletterci. Seriamente. Quanto tempo i nostri tg dedicano a questi episodi. Quante pagine di giornale. Quanti dibattiti, con esperti di ogni area. Che poi, in realtà, non sanno cosa dirci di nuovo. E, soprattutto, di utile. Così ci sentiamo ripetere che non dobbiamo avere paura; che dobbiamo continuare la nostra vita come sempre. Sacrosanta verità. Certo. Ma a cosa serve tanto parlarne? In questi ultimi tempi non abbiamo fatto altro...
E il risultato? Beh, non credo che sia così auspicabile.
Un primo risultato è che forniamo una potente cassa di risonanza a quei quattro fanatici che per giustificare i loro crimini si nascondono addirittura dietro il nome di un Dio. Cos’altro desiderano, in fondo, se non che le loro gesta tengano in apprensione il mondo? Se di fronte ad ogni loro atto dobbiamo ripetere, divulgare, e ripetere ancora ogni minimo dettaglio, non è tutta pubblicità gratuita che regaliamo a questa gente?
Un secondo risultato. Se ogni volta che apriamo un giornale o accendiamo la tv sentiamo parlare di attentati o di cronaca nera, tutto questo non crea una sorta di rumore di fondo che alla fine alimenta in noi ansie e timori? Ci dicono, a parole, che non dobbiamo avere paura, ma in pratica l’effetto di tanto parlare è proprio l’opposto. Come quando prima di un intervento chirurgico ci fanno firmare il cosiddetto consenso informato dove sono indicate tutte le possibili e impossibili complicanze. Il medico ci dice di non avere paura... ma dopo averci messo davanti un elenco infinito di quante cose dovremmo averne!
Poi c’è un terzo risultato. Ancora più pericoloso. E troppo sottovalutato, a mio parere. È il fenomeno della cosiddetta emulazione. O imitazione. Una persona sufficientemente sana di mente e con un’immagine di sé sufficientemente buona non ci cade, certo. Ma chi vive problemi seri di integrazione. Chi ha un’identità fragile o si sente non accolto nel suo ambiente, o ha accumulato frustrazioni, rifiuti, bullismo, mobbing... Per questa persona è molto facile entrare in un ragionamento del tipo: io non sono nessuno, nessuno mi prende in considerazione, tutti ce l’hanno con me; lui è diventato un eroe, tutti ne parlano, tutti pensano a lui. E se c’è riuscito lui, posso farlo anch’io. Questo è un terreno molto fertile per far spuntare un prossimo terrorista. O un prossimo, giovane o meno giovane, omicida.
Allora? Teniamoci informati, certo. Ma con intelligenza. Cerchiamo di riflettere sulle ragioni che possono portare a certi gesti. Riflettiamoci a scuola. In famiglia.
Chiediamoci poi: com’è che a tante buone notizie non offriamo una cassa di risonanza altrettanto potente? Mi pare una buona domanda, da coltivare, in questo nuovo anno.