5 mar 2017
L’8 marzo e i compiti dei bambini
Mamme... imprigionate
Dovrei scrivere mamme e bambini imprigionati. Ma è l’8 marzo, diamo la precedenza alle mamme. Imprigionate, sì. E non parlo del dramma delle donne-mamme detenute insieme ai loro bambini – problema serio e oggetto di troppo scarsa attenzione. Parlo delle mamme e dei bambini normali. Mamme e bambini imprigionati tutti i pomeriggi nel solito, comune, inevitabile, pesante, noioso compito di fare i compiti.
Con i pomeriggi che diventano drammi. Una, due, tre ore, o anche più, intervallate dal servizio taxi per portare i figli in piscina, a musica, o agli altri infiniti luoghi dove rinchiudiamo i nostri bambini. E al ritorno si riparte. Con tensioni e richiami sui compiti da svolgere, a volte perfino incomprensibili per ‘normali’ genitori. Tempo in cui né una madre può viversi il piacere di stare con il figlio, né questi riesce a godere del tempo condiviso con lei. Ecco allora che per farlo ‘studiare’ gli accendiamo la tv, o gli mettiamo i cartoni, o gli teniamo il tablet lì accanto che guaisce e strepita, mentre lui, il bambino-studente, deve fare attenzione al compito da fare per il giorno dopo. Distrazioni, richiami, arrabbiature, urli, nervosismo... un cocktail quotidiano che riempie di sé i pomeriggi domestici.
A questo punto... ci dev’essere qualcosa che non funziona. Se il tempo, sempre più ridotto, che figli e genitori possono condividere, diventa una sorta di tortura per tutti. E cos’è che non funziona? Proviamo a farci qualche domanda. E qualche riflessione. Su una situazione che si verifica fin dai primi anni di scuola.
Com’è che i bambini hanno bisogno di essere aiutati nel fare i compiti? Chi li dà questi compiti? Quanti sono? Quanto tempo pensa un insegnante che i suoi alunni dovrebbero dedicare alla scuola nel loro pomeriggio? Com’è che è nato il bisogno di attivare gli ormai onnipresenti gruppi WhatsApp tra le mamme (ripeto, tra le mamme, non tra i genitori!) addirittura per sapere quali sono i compiti da fare?
Ce ne sarebbe anche un’altra di domanda. Tante altre per la verità, ma questa non la possono tacere. Nella mente di un’insegnante donna – visto che sono la maggioranza tra gli insegnanti – che tipo di dialogo si attiva tra il pomeriggio di mamma (speso nel fare i compiti con il figlio) e il mattino di insegnante (che decide i compiti per i suoi alunni)? Certe volte sembra di vedere due persone. In tanti anni di lavoro ne ho sentite veramente tante di mamme-insegnanti che si lamentano delle colleghe per i compiti che si ritrovano a dover fare con i propri figli.
Un pensiero con gli insegnanti. Se i bambini hanno bisogno di essere aiutati nel fare i compiti, non significa che i compiti assegnati sono... sbagliati? Soprattutto se, come sembra, è la maggioranza dei bambini che ha bisogno di aiuto, e se questi ne hanno bisogno tutti i giorni. C’è qualcosa che non va. Un bravo insegnante sa misurare bene il lavoro fatto a scuola al mattino e quello che l’alunno deve riprendere nel pomeriggio a casa. Nella qualità (= il livello di difficoltà) e nella quantità (= il tempo da dedicarvi). Un bambino ha bisogno anche di tempo libero.
Uno con i genitori. Lasciamo che i bambini facciano i compiti da soli. Non ci sostituiamo a loro. Lasciamo che siano loro a chiederci una spiegazione, un chiarimento. Poi lasciamoli lavorare. Prefissiamo un orario: non un tempo infinito. Creiamo uno spazio di silenzio e di quiete. Noi facciamo le nostre cose. Magari lì vicino. Ma ciascuno con i propri compiti: noi il nostro e loro il loro. Basta con questi gruppi WhatsApp per sapere i compiti: un bambino deve sapere lui cos’ha da fare. Insegniamo loro ad essere autonomi. Non li facciamo crescere... sotto la chioccia!
Cari padri, detto tra noi, non è brutto un 8 marzo fatto solo di... mimose? Questi padri che lavorano, e finito il lavoro, hanno assolto il proprio dovere! Mentre le madri... le madri no. Al rientro, insieme alle altre faccende, ci sono i compiti con i bambini. Lui, tuttalpiù, se è tra i più attenti, quando torna a casa arriva a chiedere al figlio se i compiti li ha fatti. Qui finisce il suo compito paterno.
E con le nostre compagne, non c’è pericolo che ci ricordiamo di loro solo la sera quando... andiamo a letto? Non dimentichiamo che una buona notte è strettamente collegata con un buon giorno. E un buon giorno richiede che siamo presenti con lei. Che ne condividiamo la cura della casa e della famiglia. Un buon giorno richiede che siamo presenti anche con i figli. Che, guarda caso, sono nostri. Non solo... suoi.