17 giu 2018
La Francia ha deciso che a scuola non si portano i telefonini
5 ore di libertà
Tra Cesare e Napoleone, con relativi annessi e connessi, abbiamo sempre avuto a che fare con i nostri cugini d’oltralpe. Al punto che anche oggi, soprattutto quando, coltivatori attenti della grandeur, si presentano come i primi della classe, non è che li apprezziamo molto. Stavolta, però, ci hanno sorpreso. E, devo dire, surclassato.
Giovedì scorso l’Assemblea Nazionale ha approvato una proposta di legge che vieta l’uso dei telefonini nelle scuole elementari e nei licei, a cominciare dal prossimo anno scolastico. Ora aspettiamo l’approvazione del Senato. Sarà dura, se le statistiche ci dicono che il 93% degli studenti francesi tra i 13 e i 17 anni possiede un cellulare. Anche noi, in Italia, siamo lì. Il ministro dell’istruzione ha fatto notare che nelle riunioni di governo, all’Eliseo, i ministri sono tenuti a lasciare il cellulare fuori, in un apposito scaffale.
E noi? Noi, dopo un decreto del 2007 del ministro Fioroni che ne vietava l’uso considerandolo “un elemento di distrazione sia per chi lo usa che per i compagni, oltre che una grave mancanza di rispetto per il docente”, lo scorso settembre l’ex ministra Fedeli, convinta che non si possa continuare a separare il mondo dei ragazzi da quello della scuola, dichiarava che lo smartphone è “uno strumento che facilita l’apprendimento”, quindi utilizzarlo tra i banchi sarebbe stata “una straordinaria opportunità”.
Noi ne abbiamo parlato più volte.[1] Ma l’occasione che ci offrono i francesi mi suggerisce di ritornarvi.
L’affermazione dell’ex ministra non fa una piega rispetto alla necessità di non separare il mondo dei ragazzi da quello della scuola, ma le conclusioni cui era arrivata, a mio parere, sottovalutavano un aspetto importante: la dipendenza da cellulare che tra i nostri ragazzi sta diventando endemica. Non voglio tediarvi con le statistiche. Ma un dato non possiamo non guardarlo: la metà dei nostri ragazzi in un anno non legge nemmeno un libro, non scolastico.
Non è una buona notizia. Meno ancora lo è se teniamo presente quante ore essi passano attaccati al telefonino. Tutto il giorno. E buona parte della notte. Guardiamoli quando li incontriamo per strada. Guardiamoli quando sono in casa. Tv accesa e telefonino in mano. Quando fanno i compiti, quando studiano. Perfino quando parliamo con loro: ci guardano sì, ma a tratti. Un occhio è sempre sullo schermo. Strabismo? No. Dipendenza da cellulare.
Del resto, se ci pensiamo, noi adulti quando usciamo di casa non verifichiamo, ossessivamente, se l’abbiamo preso? Guai a uscire senza. Non siamo... raggiungibili! E non essere raggiungibili ci dà alla testa. Ci sentiamo persi. Noi adulti che, arrivati ormai ai quaranta, cinquanta e oltre, almeno qualcuno dei nostri anni l’abbiamo vissuto senza cellulare. I nostri ragazzi, invece, non hanno avuto questo privilegio. Privilegio? Sì. Il privilegio di essere connessi con la realtà. I nostri ragazzi, i nostri bambini rischiano di non avere quest’esperienza. Loro hanno imparato che essere connessi significa essere dissociati. Una parte di loro è qui, con noi, a tavola o seduti sul divano, ma una parte è altrove. Nel mondo virtuale. Prova ne è che non sanno stare neppure un’ora – che tempo lungo! – senza la loro protesi.
È qui che volevo portarvi. Sulla loro incapacità a vivere un po’ di tempo disconnessi dal mondo virtuale e connessi, totalmente, con il reale. Con la realtà, qui ed ora. È qui che arriva, benedetta a mio parere, la decisione del Parlamento francese. Regalare ai bambini e ai ragazzi 5 ore, nella giornata, di libertà dai cellulari. 5 ore d’aria diremmo se fossimo in carcere. E ci siamo. Un carcere virtuale, se volete, ma sempre carcere è. Esagerato? Facciamoci una domanda: cos’è che soffre di più un detenuto? Non è la mancanza di libertà, il non poter uscire dalla cella quando lo desidera, e più ancora, il non poter uscire e farsi un giro in città magari a trovare un amico o un figlio o la propria compagna?
Ma del cellulare possiamo farne a meno quando vogliamo, dicono i ragazzi. Sì, come il fumatore o l’alcolista o il dipendente dal gioco o dalle sostanze, che dice di poter smettere quando vuole. Lo sappiamo bene che è una balla. Lo sa bene il prigioniero dell’alcol o del gioco, e lo sanno bene i suoi familiari. La dipendenza è dipendenza. E non se ne esce se non standone fuori.
Grazie, presidente Macron. Chi sa se i nostri nuovi politici, che ci vogliono vendere il governo del cambiamento, avranno il coraggio di prendere una decisione così impopolare: regalare ai nostri bambini e ai nostri ragazzi 5 ore d’aria ogni giorno, 5 ore di libertà dai cellulari. Le ore di scuola.
Ci potremo contare?
[1] La mente e l'anima. Vol. 5, pag. 174, pag. 198, pag. 136, pag. 139, pag. 148, e altri.