14 gen 2018
Migranti e rifugiati, uomini e donne in cerca di pace
Buon anno!
Me la sarei potuta risparmiare. In fondo il 1° dell’anno è già passato. E la giornata mondiale per la pace se n’è andata con lui. Poi, però, mi sono chiesto perché il tema che Francesco ci ha proposto quest’anno mi suona così difficile. Così indigesto.
Migranti e rifugiati: uomini e donne in cerca di pace. Nel nostro mondo si contano 250 milioni di migranti – più di quattro volte tutti noi italiani messi insieme. E di questi, 22 milioni e mezzo sono rifugiati (fuggono da situazioni di guerra o perché perseguitati per le diverse ragioni). È fuori dubbio che chi si vede costretto a lasciare la propria terra e i propri affetti è alla ricerca di un luogo dove vivere in pace. Un luogo dove vivere. E dove vivere in pace.
Perché allora mi è così difficile accettare questa provocazione? Forse è proprio qui il punto: l’invito a riflettere su questo tema è una provocazione. Mi costringe a guardare oltre. Oltre il mio piccolo mondo. Fatto di problemi che, di fronte a chi deve scappare mettendo a rischio la propria vita per poter vivere, pèrdono di peso. Si ridimensionano. Fino a diventare, molte volte, piccoli piccoli. E mi fanno vergognare per la tanta energia che continuo a investirci.
Qualche giorno fa leggevo della fatica che devono affrontare quei migranti che cercano di passare il confine italo francese. Oltre il muro di neve con le scarpe rotte, così era il titolo. E nel corso del pezzo il giornalista metteva in evidenza come nello stesso posto si ritrovassero migranti con le scarpe rotte e tanti sciatori che arrivavano per le vacanze di fine anno. Gli uni e gli altri avrebbero raggiunto i medesimi luoghi. Ma mentre per chi li avrebbe calpestati con gli sci ai piedi si presentavano come il paradiso finalmente raggiunto, sarebbero diventati un inferno da attraversare, con il rischio di lasciarci la pelle, per chi i piedi li avrebbe dovuti proteggere con scarpe di fortuna, e dal freddo della notte – perché di giorno è ancora più difficile sfuggire all’attenta gendarmerie nationale, sempre pronta a prenderli e rispedirli in Italia – si sarebbe difeso con qualche maglione. Magari uno sopra l’altro. Con la certezza che dopo poco sarebbero diventati più alleati del freddo che protezione.
E qui si ferma la mia mente. Non riesce a conciliare la rabbia dello sciatore di fronte alla lunga fila davanti allo skilift o per il cattivo tempo che potrebbe impedirgli di sfruttare al massimo i suoi giorni di vacanza, e la fatica del migrante che deve sopravvivere al freddo e alla neve che metteranno a dura prova la resistenza di un fisico già affaticato. Con il rischio, una volta sopravvissuto a tanta fatica, di vedersi di nuovo ricacciato indietro.
Allora mi chiedo che cosa ho fatto io per meritare di nascere in Italia e che cosa ha fatto quella persona che dal Bangladesh o dal Pakistan, dall’Etiopia o dalla Siria o dalla Sierra Leone deve scappare se vuol sopravvivere alla fame o alla violenza di guerre sempre presenti.
Nel Mediterraneo, intanto, la notte di Natale 400 persone venivano raccolte, mentre cercavano di raggiungere l’Italia con un mare forza cinque. Tra queste, 36 ragazzini e perfino una donna incinta.
Di certo né io né quella donna incinta abbiamo fatto qualcosa per meritare di nascere dove siamo nati. Né io né l’altro che deve calpestare la stessa neve abbiamo fatto qualcosa per meritare, io di attraversarla con gli sci ai piedi, con il piacere e la soddisfazione di farmi una bella discesa, e l’altro di percorrerla con scarpe e vestiti tutt’altro che in grado di proteggerlo.
Lo so che già qualcuno, arrivato fin qui, avrà iniziato a darmi del moralista. Del predicatore da quattro soldi. Se vuole... Ma il problema non è se io sono un moralista o uno che vuol mettersi la coscienza tranquilla scrivendo quattro righe. Il problema è che non possiamo sfuggire a quella domanda: che cosa ho fatto io, che cosa ha fatto lui, per meritare... ecc. ecc.
Perché solo questo pensiero, credo, può aiutarci a riconoscerci figli della stessa Vita. E abitanti della stessa terra. Con i medesimi diritti. A vivere. E a trovare un luogo, in questa terra, dove vivere in pace.
Ognuno di noi, personalmente, può fare ben poco di fronte a un problema così vasto. Sì, possiamo offrire la colazione a quel ragazzo che sta postato davanti al bar, la mattina. Possiamo dare un contributo a una di quelle associazioni di volontariato che lavorano con i migranti. Potremmo anche – e qui cerchiamo di stare svegli – non mettere il nostro paese nelle mani di chi pensa di risolvere il problema alzando steccati alle frontiere e girando lo sguardo da un’altra parte: così occhio non vede, cuore non duole.
Sì, cerchiamo di stare svegli.
Buon anno. Di pace!