13 mag 2018
Quando i giudici non sono più saggi degli uomini comuni
Hermana, yo te creo
«Noi viviamo in clausura, portiamo un abito quasi fino alle caviglie, non usciamo di notte (se non per urgenze), non andiamo a feste, non assumiamo alcolici e abbiamo fatto voto di castità. È un'opzione che non ci rende migliori né peggiori di altri, anche se paradossalmente ci rende più libere e felici di molti. E poiché è una scelta LIBERA, difenderemo con tutti i mezzi a nostra disposizione (questo è uno) il diritto di tutte le donne a fare LIBERAMENTE il contrario senza che vengano giudicate, violentate, intimidite, assassinate o umiliate per questo. Sorella, io ti credo».
Una voce forte. Dal silenzio della clausura. Unita alla voce di migliaia e migliaia di donne (e di uomini?). Sorella, io ti credo!
Il 26 aprile il tribunale di Navarra ha condannato a 9 anni di carcere gl’imputati, riconoscendoli colpevoli di abuso sessuale. L’accusa, che parlava di violenza e di stupro di gruppo, aveva chiesto 20 anni. L’episodio risale al luglio 2016, quando in cinque – la manada, il branco, così si facevano chiamare; tra loro anche un militare e una guardia civile – avevano aggredito e violentato una ragazza diciottenne nella festa di San Fermino a Pamplona (quella con i tori per le strade). I giudici di Navarra hanno ritenuto l’episodio solo abuso sessuale perché, a loro parere, la ragazza, rimanendo ferma e con gli occhi chiusi, non si sarebbe ribellata, quindi sarebbe stata consenziente.
Mi chiedo solo cosa dovrebbe fare una ragazza, sola, paralizza dal terrore, di fronte a cinque uomini che la prendono e l’aggrediscono. Forse dare sfoggio di arti marziali. O indossare e far esplodere una cintura da kamikaze... per dimostrare la sua intenzione di ribellarsi?
A volte mi domando dove stanno certi magistrati quando si trovano davanti a fatti che riguardano le relazioni tra uomini e donne. È eccessivo chiedere ai giudici di accedere a un livello di consapevolezza superiore a quello della gente comune, rispetto al solito stereotipo del maschio, povera vittima della femmina ammaliatrice? Di fronte a certi processi ho la sensazione che, quasi per definizione, punto di partenza è che ad essere vittima non è la donna stuprata. Ma lui, il maschio di turno, impossibilitato a reggere di fronte alla seduzione di un sorriso o alla... violenza di una minigonna.
Chiedo troppo? Non credo. Perché se un uomo (una donna) si assume un ruolo così importante come quello di giudice, credo sia giusto pretendere da lui (da lei) una maggiore libertà dal solito stereotipo del maschio strutturalmente cacciatore, quindi presunto innocente salvo irrefutabile prova contraria; e della donna, potente ammaliatrice, quindi colpevole, fino ad altrettanto irrefutabile prova contraria. Ciononostante, anche una volta provata, sempre, almeno un po’, corresponsabile della violenza subita.
Sono partito oggi dalle parole delle carmelitane di Hondarribia, una cittadina dei Paesi Baschi. È la libertà il loro punto forte. Quella stessa libertà che le porta ad una scelta di vita così fuori dal comune, incomprensibile ai più. La stessa libertà esse chiedono che sia riconosciuta ad ogni donna. Anche quando le sue scelte percorrono strade del tutto contrarie a quella di una monaca di clausura. Non è una posizione facile questa. Molte volte perfino uomini o donne di chiesa cadono nel facile e superficiale se l'è cercata. Se quella ragazza non avesse bevuto, se non avesse accettato quel passaggio, se non fosse andata in quella discoteca, se non avesse ingerito quelle sostanze, se non si fosse messa quella minigonna ascellare... e via di questo passo.
Non che io condivida o giustifichi certi atteggiamenti e comportamenti per lo meno superficiali, quando non addirittura eccessivi, di tante nostre ragazze. Ma non vi pare che sotto tutti questi se ci sia una pericolosa radice comune? Se un uomo (maschio) è appena un po' provocato, cosa volete che faccia, poverino? È naturale che violenti quella ragazza: è nel suo istinto di... cacciatore. No. Anche noi uomini siamo capaci di riflessione, di autocontrollo. Anche a noi spetta saper coltivare rispetto per l'altra.
Due pensieri ora per salutarci.
Il primo per i giudici. Sulla falsariga di Gibran vi dico: io ho rispetto per i giudici, che giudichino pure gli uomini, ma che siano più saggi degli uomini che sono chiamati a giudicare .
Il secondo per gli uomini, per noi uomini maschi. Finiamola di considerarci disabili o ritardati. Anche di fronte a un atteggiamento sessualmente provocante, niente giustifica un'aggressione o uno stupro. Non possiamo continuare a coltivare di noi l'immagine di persone incapaci di governare i nostri istinti e le nostre pulsioni.
Hermana, yo te creo. E insieme con te e con le migliaia di altre persone che si sono attivate nel mondo, chiedo che anche i tribunali ti facciano giustizia.
V. La mente e l'anima, Vol. 4, pag. 245