2 dic 2018
Di corsa e in affanno per i regali di Natale
Io ci provo...
Sì, io ci provo a venirvi vicino e, approfittando dell’attimo in cui vi fermate a prendere fiato nella corsa affannosa ai regali-di-natale, vi sussurro C’era una volta... Cosa? Mi direte. Un libro! Un libro? E mi guardate, incuriositi. Cercate d’indovinare di quale diavoleria io stia parlando. Poi, con l’acutezza del genio: ah, certo, è il nome che hanno dato al nuovo smartphone! Esclamate. E io... quanto sono vecchio! vi piacerebbe che dicessi. E invece no. Non lo dico proprio. Perché siete voi, giovani venti, trenta, quarantenni che, con la pelle levigata, i pantaloni strappati e le capigliature folte, siete così invecchiati da non accorgervi del laccio che vi hanno messo al collo i venditori dei nuovi pifferi magici...
La settimana scorsa ero ad un convegno di studio, a Roma. Venerdì sera, dopo una giornata intera chiusi in un’aula tra relazioni e discussioni, andiamo, sei colleghi, a mangiare qualcosa. Uno di noi, romano doc, ci porta in una di quelle taverne dove bisogna prenotarsi per avere un tavolo, tanto è genuino e romanesco il menù che propone. A poca distanza da noi siede una famiglia: insieme a una coppia sui quarant’anni, un nonno e due bambini, tra i 7 e i 10. Il cibo è davvero buono. Parliamo tra noi, sia di quanto ci siamo detti al convegno sia di quanto ciascuno di noi sta facendo nel proprio ambiente di lavoro. Accanto a momenti di riposo tra una battuta e l’altra per digerire meglio la giornata piuttosto impegnativa.
Però, che volete, sarà per deformazione professionale, a un certo punto i nostri occhi sono richiamati dalla scenetta sul tavolo vicino. Per tutta la cena i due bambini armeggiano con un telefonino, avvinghiati l’uno sull’altro, del tutto indifferenti a qualunque cosa succeda intorno a loro. Indifferenti perfino al piatto che sta loro davanti e al quale, di tanto in tanto, la mamma li richiama. Loro, giovani samurai, impassibili, concentratissimi in ciò che stanno facendo, non alzano nemmeno lo sguardo. Ogni tanto mettono in bocca qualcosa, meglio, si lasciano mettere in bocca qualcosa, e lo ingurgitano. Indifferenti. A sapore, odore, perfino a capire cosa sia ciò che stanno mangiando. Tanta è la tensione con cui occhi, mano – pardon, il dito indice! – e tutto il resto del corpo rimangono appiccicati al piccolo schermo. Luccicante. Così, insieme a qualche parola che padre, madre e nonno ogni tanto si scambiano, finisce la serata in taverna di questa giovane famiglia.
Ed eccoci a noi. Lo so che è inutile. Ma io ci provo. Perché non so rassegnarmi al male che stiamo facendo ai nostri bambini. Inconsapevoli il più delle volte. Ignoranti, sempre. Nel senso che non sappiamo e, purtroppo, non facciamo niente per sapere: non cerchiamo, cioè, di essere informati sui danni che arrechiamo a un bambino mettendogli in mano, senza nessun controllo, tablet e smartphone fin da quando è piccolo. Pochi anni o addirittura pochi mesi.
Un gruppo di ricercatori inglesi ha visto che bambini che fin dai due tre anni d’età passano parecchio tempo sui touch screen (gli schermi dei telefonini) impoveriscono la capacità prensile, che l’umanità ha conquistato in milioni di anni, tra il pollice e le altre dita, e quando devono prendere in mano una matita o una penna incontrano non poca difficoltà.
Non solo. Le neuroscienze ci dicono da tempo che tra centro e periferia nel nostro corpo – tra cervello e mano, per esempio – l’interazione è costante. Più la mano si attiva, tutta, più il cervello si arricchisce. Più il cervello riceve stimoli diversi, più la mano, e il resto del corpo, apprendono e sviluppano abilità fini, utili e necessarie per l’apprendimento e per una crescita sana.
Un problema analogo, sia pur diverso nelle forme, incontrano gli occhi. Questi, catturati dallo schermo, ne sono bombardati attraverso impulsi che, arrivando al cervello, lo eccitano oltre misura. Il cervello di un bambino non è pronto per digerire tanta stimolazione. E la sua iper-eccitazione si traduce poi in iper-agitazione motoria. Quanti di noi, genitori, insegnanti, educatori, lamentiamo che i bambini di oggi non stanno un momento fermi... A scuola non sono capaci di seguire ciò che si sta facendo in classe neppure dieci minuti di seguito. E ci sorprendiamo?
Allora io ci ri-provo. Con due suggerimenti.
Il primo. Se proprio volete regalare un tablet o uno smartphone ai vostri bambini, pensateci bene: un regalo così vi chiede di essere capaci, poi, di definire per loro il tempo di utilizzo: un’ora al giorno basta e avanza!
Il secondo. Regalate anche un libro. E aiutateli a tenerlo in mano. Un libro aiuta a respirare. E a pensare. Il suo ritmo è sano. E il cervello del vostro bambino, leggero e felice, non smetterà di dirvi grazie!
Un libro è cibo sano anche per noi adulti...