21 ott 2018
La potenza delle parole: possono costruire o distruggere
Io la lingua...
Pari siamo: io la lingua, egli ha il pugnale. Così canta Rigoletto, tra sé e sé, dopo essersi incontrato con Sparafucile, il sicario che ingaggia per uccidere il Conte di Mantova che ha sedotto la sua Gilda. Ed egli stesso, tragicamente, sperimenterà la verità di questa riflessione quando, al culmine del dramma che vede sua figlia uccisa al posto del Conte, ricorderà le parole di Monterone. E con il grido Ah, la maledizione! lascerà chiudere il sipario.
Duemila anni prima un saggio, tra riflessioni e domande sul senso della vita e sulle sue mille facce, aveva scritto: Un colpo di frusta produce lividi, ma un colpo di lingua rompe le ossa. Continuando poi: La spada uccide tante persone, ma ne uccide più la lingua che la spada.[1]
Un tempo era relativamente facile impugnare una spada o imbracciare un fucile e far fuori l’avversario, il nemico. È vero, residui di barbarie ne troviamo anche ai giorni nostri tra gli uomini del dis-onore – mafia, ndrangheta, cosa-nostra e congreghe simili. Oltre che, purtroppo, in certe famiglie, quando il terrore dell’abbandono o la cecità del rancore diventano ragione sufficiente, nella mente di un uomo, per uccidere colei che non vuole essere più sua proprietà.
Ma per il resto siamo diventati più civili. E anche se residui di far-west stanno riemergendo in qualche illuminato uomo politico, non andiamo in giro con la pistola nel cinturone o con il pugnale nel corsetto. Almeno per ora.
Ma la lingua... quella sì, è sempre con noi. E se il pugnale di Sparafucile poteva uccidere un uomo, uno alla volta, la lingua è assai più potente. Ne uccide più la lingua che la spada, sentenziava il saggio figlio di Sirach.
Nella politica lo vediamo ogni giorno. I novelli governanti non si rendono conto che con i loro slogan e le loro sentenze, prima ancora che con i provvedimenti concreti, stanno logorando perfino i nostri risparmi. Oltre che l’economia del paese. E sul piano sociale ci stanno rinchiudendo dentro muraglie asfittiche: noi buoni e belli, razza superiore, gli altri brutti, sporchi e cattivi. Politici incapaci di valutare il peso delle parole, presi come sono dalla sola ricerca del consenso. Non più dialogo e confronto tra posizioni diverse, tra forze diverse. Io non prendo lezioni da nessuno è il mantra con cui i nostri due vice(!?) presidenti del consiglio, nel gioco a chi la dice più grossa, ci allietano giorno dopo giorno. E non si rendono conto che la parola di un ministro non ha lo stesso peso di quella che diciamo tra amici al bar.
Nel mondo della religione? Dalla piccola periferia di una parrocchia fino ai vertici della chiesa. Tra semplici cristiani e tra grandi uomini di religione. Giudizi, pettegolezzi, insinuazioni, chiusure. Incapaci di ascoltare una diversità. Pronti a parlare, e sparlare, dietro le spalle. Incapaci di guardarci negli occhi e riconoscerci come fratelli, nell’umanità e nella fede, e figli dello stesso Padre-e-Madre. Gruppi di spiritualità che si chiudono in se stessi. Collaboratori, pronti perfino a mettere parte del proprio tempo a disposizione della comunità, che poi si perdono tra invidie e gelosie, piccole e meschine. Tempo fa venne da me un prete, amareggiato e deluso perché il suo vescovo si lasciava irretire dalle chiacchiere che gli venivano riferite su di lui anziché incontrarlo e parlarci personalmente. Tra chiacchiere e pettegolezzi non ci rendiamo conto che una parola detta non la ferma più nessuno. Cresce e si moltiplica passando di bocca in bocca.
E in famiglia? Quanti conflitti eviteremmo se ponessimo un po’ più d’attenzione alle parole che mettiamo in casa. Fai sempre così. Non mi stai mai a sentire. Mi hai rotto... Con te non si può mai parlare. E una parola di scusa? Una parola d’affetto? Un come stai, ti vedo serio/seria questi giorni? Se imparassimo a scrivere nel nostro vocabolario parole-ponte (che uniscono) anziché parole-muri (che dividono), quante crisi riusciremmo a superare e quante volte ci risparmieremmo di ritrovarci sotto le macerie.
Solo una parola, infine, sull’ultimo prodotto dell’evoluzione tecnologica. Il mondo dei social. Fatto anch’esso di parole. Che dànno vita. Ma che possono anche schiacciare sotto il loro peso. Da bambini e da adolescenti soprattutto. Ma anche tra adulti. Chiacchiere e pettegolezzi. Che stavolta, poi, hanno un moltiplicatore con potenza infinita. Una parola scritta a Jesi arriva subito a Palermo o a Sidney. E non la ferma più nessuno. È il cosiddetto cyber-bullismo. Nuova gogna nel XXI secolo.
No, Rigoletto, tu e il tuo sicario non siete pari. Se un colpo di frusta produce lividi, un colpo di lingua rompe le ossa. E se il pugnale di Sparafucile può uccidere un uomo, uno alla volta, la parola, una volta uscita dalla bocca, ne uccide mille e migliaia di mille.
[1] Siracide 28,17-18