VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

9 dic 2018

Ottant’anni di storia: dalle leggi sulla razza al decreto sicurezza

La paura

 

Chi sa, forse temevano di non passare alla storia con la medesima gloria e lo stesso onore con cui sono passati i ministri del governo fascista del 1938. Stiano tranquilli: ce l’hanno fatta. Anzi, quasi quasi li stanno surclassando.

Era novembre, anche allora. Ottant’anni fa. Con le Leggi per la difesa della razza, un bel (!?) giorno quasi 50mila italiani scoprono improvvisamente che italiani non sono più: sono ebrei. Oggi, con il Decreto sicurezza quasi 500mila immigrati scopriranno presto che la loro situazione, non ancora definita, una definizione sarà sempre più difficile che possano raggiungerla: saranno immigrati irregolari. Quindi anch’essi con la prospettiva di venir caricati sugli aerei – nel ’38 usavano più modestamente i treni merce – e rispediti nei loro paesi d’origine. Così hanno deciso.

Oggi non abbiamo più il coraggio di parlare di razza, salvo qualche illuminato uomo politico, pronto subito però a rimangiarsi la parola. Ma alla luce del biondo sole americano – America first! – abbiamo imparato a ripetere: Prima gli italiani! E gli altri? Semplice: Me ne frego! Non era questa, in fondo, la parola d’ordine anche ottant’anni fa?

Il ministero della paura – una volta ministero degli interni – ha raggiunto il suo scopo. Spaventare così tanto gli italiani da far credere che sicurezza è uguale a chiusura di ogni frontiera e respingimento di qualunque essere umano non italiano.

 

Ora, che senso di instabilità e aria di crisi caratterizzino questi nostri anni non è difficile riconoscerlo. Ma che gli uomini di governo giochino su questo per interessi di parte e per garantirsi successo e voti nelle urne, a me pare un gioco sporco e indegno di chi dovrebbe essere migliore degli altri cittadini. Io non detesto i re, scrive Gibran, che governino pure gli uomini. Ma a patto che siano più saggi degli uomini.[1] Mi è difficile vedere più saggio rispetto agli altri cittadini chi non solo ne sfrutta ansie e paure, ma contribuisce ad alimentarle e le utilizza per il proprio interesse.

Da non perderci poi la ciliegina sulla torta: il ministro della paura è riuscito perfino a far saltare l’adesione dell’Italia al Patto dell’ONU sulle migrazioni (Global Compact for Migration) che sarà firmato questi giorni a Marrakesh, nonostante il nostro Capo del governo abbia assicurato, parlando proprio alle Nazioni Unite, l’adesione e la sottoscrizione da parte dell’Italia.

 

Ora, che i politici facciano le loro scelte e agiscano secondo i loro valori, niente di scandaloso. Tutti noi prendiamo princìpi e valori in cui crediamo come linee direttive per le nostre decisioni. Ciò che trovo pericoloso è l’adesione incondizionata e l’onda di approvazione crescente di cui godono certi uomini di governo.

 

A questo punto possiamo fare un salto. Accompagnati da qualche domanda. Che stavolta ci facciamo considerando la sede particolare in cui ci scambiamo queste riflessioni: un settimanale diocesano. A volte sono arrivate critiche rispetto a domande e pensieri che mi sono permesso di fare su temi che rientrano in un discorso di religione. O di fede. Non ho sentito, invece, altrettanta forza nel contestare scelte politiche da una parte, e silenzi nella chiesa dall’altra, in occasioni come questa. Dovremmo trovare il coraggio, noi cristiani, di sostenere che alcune scelte vanno fatte non perché politicamente o economicamente vantaggiose. Ma semplicemente perché sono giuste. Perché in esse si riflettono i valori evangelici che, come cristiani, dovremmo prendere a criterio di valutazione su ciò che è giusto o sbagliato.

Ho il forte dubbio che non siano pochi, tra coloro che frequentano la chiesa, magari anche tutte le domeniche, che poi sostengono le posizioni del governo. Temo che, al fondo, questo fenomeno di condivisione e di approvazione crescente sia il contrario di quanto noi cristiani dovremmo considerare come princìpi non negoziabili – per usare una vecchia e infelice espressione di qualche anno fa. E princìpi non negoziabili sono quelle parole del Maestro di Nazareth: Io ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare... ero forestiero e non mi avete ospitato... Ogni volta che non avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me.[2]

 

Per essere suoi discepoli non ci chiede se crediamo o no nel diavolo o nel peccato originale, o in una qualunque altra dottrina che abbiamo costruito nel tempo. Neppure se andiamo a messa tutte le domeniche. Ai suoi occhi unico criterio di valutazione è quanto facciamo o non facciamo verso i nostri simili. Figli della stessa umanità.

Scrive Tagore: Vediamo il volto sorridente di Dio nella luce in cui il fratello vede il fratello.[3]

 

[1] Gibran, Gesù figlio dell’uomo

[2] Cfr. Matteo 25,31-46

[3] Tagore, Sfulingo