11 nov 2018
L’autunno e l’inverno, tappe preziose del ciclo vitale
Se mi vedi vecchio...
Se mi vedi vecchio, se mi sporco quando mangio e non riesco a vestirmi, abbi pazienza: ricordati del tempo che ho trascorso ad insegnartelo.
Se quando parlo con te ripeto sempre le stesse cose, non m’interrompere, ascoltami: quando eri piccolo dovevo raccontarti ogni sera la stessa storia finché non ti addormentavi.
Quando non voglio lavarmi, non biasimarmi e non farmi vergognare: ricordati quando dovevo correrti dietro inventando delle scuse perché non volevi fare il bagno.
Quando vedi la mia ignoranza per le nuove tecnologie, dammi il tempo necessario e non guardarmi con quel sorrisetto ironico: io ho avuto tutta la pazienza per insegnarti l’abc.
Quando a un certo punto non riesco a ricordare o perdo il filo del discorso, dammi il tempo necessario per ricordare, e se non ci riesco non t’innervosire: la cosa più importante non è quello che dico, ma il mio bisogno di essere con te e di averti lì che mi ascolti.
Quando le mie gambe stanche non mi consentono di tenere il tuo passo, non trattarmi come fossi un peso: vieni verso di me con le tue mani forti, nello stesso modo in cui io l’ho fatto con te quando muovevi i tuoi primi passi.
Quando dico che vorrei essere morto, non arrabbiarti: un giorno comprenderai che cosa mi spinge a dirlo. Cerca di capire che alla mia età non si vive, si sopravvive.
Un giorno capirai che nonostante i miei errori, ho sempre voluto il meglio per te, che ho tentato di spianarti la strada.
Dammi un po’ del tuo tempo. Dammi un po’ della tua pazienza.
Dammi una spalla su cui poggiare la testa allo stesso modo in cui io l’ho fatto per te.
Aiutami a camminare.
Aiutami a finire i miei giorni con amore e pazienza: in cambio ti darò un sorriso e l’immenso amore che ho sempre avuto per te.
Ti amo, figlio mio.[1]
Mio caro babbo, anch’io ti amo. Ma, come vedi, non te lo so dire. Hai ragione, tante volte sono impaziente con te: quando la fai lunga, quando ti metti a raccontare le stesse cose che ormai so a memoria. Quando non ti ricordi che dove sono stato me l’hai già chiesto. E ti ho pure risposto. Magari a mezza bocca e mentre stavo sistemando le mie cose. E m’arrabbio pure perché non capisci – vedi come sono pesanti le mie parole: non capisci – che io non ho tutto questo tempo da passare con te.
Adesso m’hai dato questa lettera. Ci credi se ti dico che m’hai sorpreso? Da te non me l’aspettavo. Poi ti spiego il perché. Prima, però, voglio dirti un’altra cosa. Ho cominciato a leggere, ma dopo le prime parole non riuscivo ad andare avanti: gli occhi si riempivano di lacrime. Lo fanno anche adesso che sto provando a risponderti. Ma io non devo piangere. Te non t’ho visto mai farlo. Solo una volta ricordo, era morta nonna, non era neanche la tua mamma: tu la tua l’avevi persa che eri un ragazzo. E tuo padre, che io non ho neanche conosciuto... qui sì che ogni volta che ci penso riesco a vedere la tua forza e la tenerezza del tuo cuore. Tuo padre l’hai curato e assistito fino alla fine. Solo. Senza chiedere niente a nessuno. E senza mai neanche un lamento. Qui non posso fare a meno di riconoscere che sei stato per me un grande maestro. Maestro di un allievo piuttosto distratto. La tua riservatezza con me l’ho confusa con la disattenzione. Il tuo silenzio lo chiamavo disinteresse.
E oggi mi tiri questo colpo basso.
Perché colpo basso? Prima di tutto perché mi fai una dichiarazione d’amore. Tu, mio padre! Poi... poi perché con il tuo passo lento e i pensieri che qualche volta perdono il filo, mi porti qualcosa che non voglio ancora guardare. La vecchiaia.
Questa stagione della vita che con delicatezza, ma inesorabile, tu mi metti davanti. E mi parla della necessità di ascoltare quel dialogo che lei sola sa cogliere: il dialogo che la vita e la morte tessono giorno dopo giorno. E che l’età delle corse e della produttività ad ogni costo, in cui mi trovo immerso, m’impedisce di guardare.
È come novembre. Con le nuvole e il sole che, nel parlarci dell’autunno, ci preparano all’inverno.
L’inconscio rifiuta l’idea della morte noi diciamo. Ma è la vita, credo, che la rifiuta. Perché questa ci si pone davanti con il sipario abbassato. E c’impedisce di guardare oltre. L’oltre-tomba. L’al-di-là. Quale ne è il senso? La domanda alla quale la nostra mente non sa trovare una risposta soddisfacente. Non è mai tornato nessuno, diciamo. Quasi a volerci giustificare quando, di fronte alla domanda sul valore di questa strana coppia, la vita e la morte, scappiamo a gambe levate. Ho altro da fare adesso. Ci penserò più tardi. Quando... non si sa.
E ora tu mi dici che sei pronto per questo viaggio. Aiutami a non essere troppo distratto, almeno questa volta. E a vedere che la tua vecchiaia, oggi, è un altro dei tuoi regali. E delle tue attenzioni. Per me.
Grazie. Anch’io... ti amo.