10 feb 2019
E se fosse mio figlio? Carmelita Di Carlo
Cara Professoressa,
le scrivo perché è stata una delle migliori guide che ho avuto durante il mio cammino scolastico e vorrei condividere con lei dei pensieri. Amavo molto venire a scuola: era per me un luogo in cui ogni giorno potevo fare una scoperta, un posto dove era bello incontrarsi e confrontarsi. Peccato quel metodo utilizzato all’inizio dell’anno per formare le classi!
“Una scuola che seleziona distrugge la cultura. Ai poveri toglie il mezzo d’espressione. Ai ricchi toglie la conoscenza delle cose... il frutto della selezione è un frutto acerbo che non matura mai”, scriveva Don Milani in LETTERA A UNA PROFESSORESSA, e leggendo queste parole sono riaffiorati nella mia mente tutti quegli episodi di selezione che avvenivano anche nella mia scuola, nella mia amata scuola.
All’inizio dell’anno, come ben ricorderà, si formavano classi in cui potevano accedere solo i figli di famiglie benestanti, classi per figli di famiglie del ceto medio, e altre dove la maggior parte erano figli di immigrati. Tutti sapevano ma nessuno ne parlava: era la normalità. A malincuore ricordo, infatti, che tutto, dall’atteggiamento degli insegnanti a quello dei compagni, si trasformava appena si parlava di differenze tra classi sociali, tra ricchi e poveri, tra italiani e stranieri. E così la mia scuola diventava un luogo dove si privilegiavano i ricchi che avevano un futuro e si discriminavano i poveri, o coloro che avevano una nazionalità diversa.
Professoressa, ed io che pensavo che ai vostri occhi eravamo tutti uguali!
La scuola dovrebbe essere un posto in cui il bambino, il ragazzo possa sentirsi a casa, riponendo fiducia negli insegnanti e compagni, trascorrendo con essi momenti importanti per la loro vita, un luogo da cui non si vuole scappare ma restare, dove le differenze non siano qualcosa che ostacolano ma arricchiscono, un luogo in cui gli alunni vengono presi per mano e accolti nelle loro fragilità e diversità.
Le discriminazioni a scuola, negli anni, sono sempre più diffuse e spesso le differenze vengono fatte notare più che accolte.
Professoressa, com’è possibile che ancora oggi nella scuola possano succedere queste cose? Quanto può sentirsi umiliato un ragazzo che si vede allontanato dai suoi compagni solo perché povero o straniero? Come possiamo aiutare la scuola ad avere cura del benessere del ragazzo, spogliandosi di tutte le forme di discriminazione? C’è davvero, secondo lei, la possibilità che qualcosa possa cambiare? Perché non si può pensare ad una scuola dove tutti i bambini siano trattati allo stesso modo? Se provassimo a chiederci e se fosse mio figlio ad essere trattato così? “Anche il preside di una scuola media ha scritto: ‘La Costituzione purtroppo non può garantire a tutti i ragazzi eguale sviluppo mentale...’. Ma del suo figliolo non lo direbbe mai...” continua nella sua lettera Don Milani.
La scuola è un luogo che dovrebbe permettere ai ragazzi con culture o estrazioni sociali diverse di potersi incontrare, la diversità dovrebbe diventare un valore aggiunto che arricchisce, che rende migliori, più che un mostro da dover scacciare.
Si potrebbe, allora, pensare all’organizzazione di giornate, di momenti in cui i ragazzi, insieme agli insegnanti, possano affrontare il tema della diversità e di tutte le problematiche ad essa legate, dando voce soprattutto ai vissuti dei ragazzi. Importante sarebbe coinvolgere anche i genitori, dando ad essi gli strumenti necessari per poter contrastare i tanti pregiudizi in essi radicati.
Mi piacerebbe concludere con queste parole di Don Milani: “Il maestro dà al ragazzo tutto quello che crede, ama, spera. Il ragazzo crescendo ci aggiunge qualcosa e così l’umanità va avanti”.
Spero che questa lettera possa accendere in lei delle riflessioni e mi permetto di darvi un suggerimento: abbandonate la sedia dietro le vostre cattedre e avvicinatevi ai ragazzi che non sono solo nomi su un registro, ma persone, storie e vite!
La ringrazio per l’attenzione. Mi piacerebbe un suo riscontro.
Un saluto cordiale.