VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

12 mag 2019

La scuola e i ragazzi persi Daniela Laddaga

Cara Professoressa,

nonostante siano passati più di venti anni, mi capita spesso di pensare a lei. Ciò accade ogni volta che mi fermo a guardare indietro, ma solo per ammirare, con la lucidità di una 38enne, la strada ormai percorsa. Una strada che, contrariamente a quella che lei aveva presagito per noi giovani di oggi, non assomiglia mica ad una via larga e priva di ostacoli. Le posso assicurare che si tratta invece di una strada stretta, impervia, piena di curve e senza segnaletica, dove si cammina al buio. Al buio perché la vostra luce è fioca, fredda, e bisogna comunque arrangiarsi e scaldarsi come meglio si può. A volte in questo labirinto ci si perde, combattendo contro le vostre profezie nostradamiche, altre volte ciò non accade perché in questa selva oscura, quando la primavera fiorisce, le ferite possono diventare feritoie.

Cara prof, ora che sono adulta le posso rivelare un segreto: la sua alunna depressa, quella che a suo avviso da adulta non ce l’avrebbe fatta a sopravvivere alle tempeste e a cui non ha mai dato l’opportunità di urlare il suo dolore, ora lavora per i depressi, con uno strumento che si chiama parola. Una parola che è sempre un dono e mai disprezzo perché compone una melodia armoniosa, quella dell’ascolto e dell’aiuto, che lei ha imparato a suonare grazie ai suoi grandi maestri: depressi, schizofrenici e bipolari. Loro sono stati la sua Scuola di Barbiana, altro che Liceo Scientifico, con tutta quella matematica! E lo sa, professoressa, che la depressione non passa come una meteora, ma colpisce al petto e si trasforma nel momento in cui la si accetta come la faccia triste del proprio demone interiore, da troppo tempo senza acqua e senza cibo? Lo stesso demone che, nel momento in cui gli viene concessa la parola, ci libera, educandoci al bello grazie alla musica e alla cultura, quello che la scuola non ci ha mai suggerito di amare.

Tutti gli esclusi ci insegnano che “Il sintomo è il primo annuncio del risvegliarsi della psiche che non intende più tollerare di essere maltrattata" (J. Hillman). Che si chiami depressione, devianza o difficoltà nell’apprendimento, il sintomo esprime sempre una disperata lotta contro tutte quelle ingiustizie che anche la sua scuola ha perpetuato per anni, elogiando solo i meriti dei figli dei professori, quelli del primo banco, che la scuola la frequentavano a casa a tempo pieno, assorbendo il linguaggio forbito dei genitori. Gli stessi che poi puntualmente giravano le spalle ai loro compagni in difficoltà, lasciandoli indietro. Don Milani scriveva: Voi dite che Pierino del dottore scrive bene. Per forza, parla come voi. Appartiene alla ditta. Invece la lingua che parla e scrive Gianni è quella del suo babbo. Quando Gianni era piccino chiamava la radio lalla. E il babbo serio: Non si dice lalla, si dice aradio”.

Si è mai chiesta quale può essere invece lo sforzo di chi, pur non portando il “marchio della razza pregiata”, partendo da una posizione di svantaggio, raggiunge gli stessi traguardi del figlio del dottore? E che voto darebbe ai poveri che, andando controcorrente, si diplomano in una scuola fondamentalmente su misura dei ricchi?

Come insegnano i ragazzi di Barbiana, la scuola ha purtroppo un problema solo, i ragazzi che perde. E “Se si perde loro (i ragazzi più difficili) la scuola non è più scuola. È un ospedale che cura i sani e respinge i malati”. Ma lei la conosce la storia del bruco che muta in farfalla? Pensava di partorire un brutto topolino, ma forse c’è stato un errore di valutazione. Nessuno di noi ha un pezzo mancante, piuttosto a lei manca la consapevolezza delle splendide creature che potremmo diventare. L’abbiamo sorpresa vero? Ebbene sì, siamo i fiori della resilienza, tutti meravigliosamente diversi. La lascio con una frase che rappresenta un augurio per lei e per la sua scuola: Arriverà un giorno in cui ogni diversità non sarà tollerata, ma celebrata. Quel giorno sarai orgoglioso di essere stato nel giusto” (R. Sidoli).

Cordialmente.