26 mag 2019
Scuola e lezioni in comunità Vania Giorgetti
Cara Professoressa,
le scrivo per ringraziarla dell’eredità che non sa di avermi lasciato. Sono figlia di due operai e oggi le scrivo in veste di coordinatrice di Comunità per minori, una delle più belle e più avventurose professioni del mondo. All’inizio pensavo che potessero bastare un po’ di teoria, un po’ di gavetta e qualche parola di conforto per aiutare le persone a curare il dolore dell’anima. Ma con l’esperienza e la formazione ho acquisito i veri strumenti che mi sono stati d’aiuto per questo lavoro chirurgico. Per prima cosa ho imparato che le emozioni sono un’esperienza che fa crescere e vanno espresse e non soffocate; poi ho imparato che la vera cura passa attraverso la relazione di vicinanza senza invadenza. Ho anche imparato ad aiutare i ragazzi a vedere il bello che c’è dentro e fuori di sé senza tralasciare i limiti e le impossibilità oggettive della realtà. Per fare questo mi sono ricordata di come mi sentivo io da adolescente, età in cui l’ho conosciuta per la prima volta e da lì non l’ho più lasciata. Ricordo il suo modo di fare e di essere, ricordo l’enfasi, la passione e la convinzione che metteva quando cercava di farmi conoscere Leopardi, raccontandomi che andava pazzo per le noccioline. È come se lei avesse avuto il permesso di leggere quei versi che faceva riecheggiare per l’intera aula, e noi alunni con espressione sedata, intenti ad ascoltarla. Una magia. La sua delicatezza nello sfiorare le nostre menti e il fervore nel voler trasmetterci la cultura del sapere, oggi mi sono molto di aiuto nella mia professione. Mi aiutano ad ascoltare, ad osservare e ad aspettare. Come diceva Don Milani: “Con la parola alla gente non si fa nulla. Sul piano divino ci vuole la grazia e sul piano umano ci vuole l'esempio”.
Lei mi è rimasta nel cuore per l’esempio di persona che mi ha proposto e che io ho scelto di prendere come modello di riferimento... sono sicura che se lei non fosse stata così attenta, delicata e caparbia allo stesso tempo, io oggi non mi sarei ricordata che a Leopardi piacevano le noccioline e non avrei potuto far appassionare le ragazze della Comunità a questo personaggio, tanto strano quanto vicino al loro sentire.
Oggi mi vorrei rivolgere a tutti i professori dei bambini e dei ragazzi che abitano in Comunità: i nostri ragazzi hanno bisogno di una vicinanza, una comprensione e un amore consapevole che va oltre le parole e oltre i voti o i giudizi e i pregiudizi dell’adulto. Hanno bisogno che il sapere passi attraverso la passione e si consolidi con l’affetto; hanno bisogno del nostro buon esempio e delle regole che noi adulti conosciamo bene ma che a volte non abbiamo il coraggio di far rispettare. Hanno bisogno di sentirci uniti e di percepirci come una grande famiglia il cui unico obiettivo è la crescita sana e dignitosa dell’alunno visto come persona prima di tutto.
Ogni giorno le ragazze varcano la porta della Comunità e come un fiume in piena raccontano e raccontano come si sono sentite di fronte al sentimento di non essere state viste né ascoltate, deluse dal mero parere negativo a cui sono state destinate da lì al giorno successivo. Eppure nonostante il peso del giudizio che rafforza la percezione negativa che hanno di loro stesse, ogni pomeriggio si siedono nelle loro stanze per studiare la lezione. Penso che molto di quel coraggio di cui parlavo sopra, dovremmo prenderlo da loro: anche loro possono essere un esempio se le lasciamo esprimere per quello che sono e per quello che sentono, e forse ascolterebbero con più piacere anche l’adulto che hanno accanto.
Volevo ringraziarla, cara professoressa, per avermi dedicato parte del suo tempo libero per leggere queste parole e sarei felice se avesse il piacere di rispondermi. La penso, come penso ad ogni professore che ho incontrato nella mia esperienza di studentessa e come penso a me oggi nelle vesti di educatrice... Eh sì è davvero un lavoro faticoso, per questo crea cambiamento e smuove le menti!
Arrivederci e un buon lavoro.