24 mar 2019
Solitudine degli alunni Valeria Giampieri
Cara Professoressa,
da anni lavoro nelle scuole come educatrice di sostegno. Un lavoro difficile, mal pagato e a volte poco considerato. Un lavoro che amo follemente perché mi permette di accompagnare ogni bambino nella propria crescita.
Sono anche una psicologa scolastica e mi sto formando come psicoterapeuta familiare. Sa, questo lavoro quotidiano a scuola mi ha regalato esperienze, emozioni e riflessioni che trovo di grande aiuto per crescere anche come terapeuta.
Qualche mese fa, leggendo un quotidiano del mio territorio, vengo catturata da un titolo “Ragazzino con disabilità comportamentali è violento in classe: i compagni non vanno a scuola per protesta” (VivereSenigallia del 12/10/2018). Questa notizia mi lascia davvero perplessa. Perché nasce nel mio territorio, a Senigallia, in una scuola media che conosco; e perché parla del mio pane quotidiano, del mio lavoro, parla dei miei bambini. Quante domande mi son fatta, Professoressa!
Perché? Che cosa può spingere i genitori di un’intera classe a intraprendere una protesta del genere? Cosa pensano di insegnare ai propri figli, se non a escludere ed emarginare? Nessuno si è chiesto: e se quel bimbo fosse stato mio figlio? Da mamma mi chiedo: che cosa avrei fatto io al loro posto? E ancora: non c’era un altro modo per far emergere la questione senza umiliare quel bambino? Nessuno ha pensato a quel bambino?
Sì, perché a volte lo dimentichiamo, ma dietro l’etichetta di ragazzino con disabilità comportamentali violento c’è un bambino. Sì, proprio un bambino di soli undici anni, come tutti quei bimbi di quella 1a media che non si è presentata in classe.
E gli insegnati dove sono? Don Milani scriveva: «Allora l’occhio vi correrebbe sempre su Gianni... Vi svegliereste la notte col pensiero fisso su lui a cercare un modo nuovo di far scuola, tagliato su misura per lui. Non vi dareste pace, perché la scuola che perde Gianni non è degna d’essere chiamata scuola».
Professoressa, lungo la mia strada ne ho incontrati tanti d’insegnanti così, con belle idee e con un cuore capace di frantumarsi in mille pezzi di fronte alla sofferenza e alla solitudine di un loro alunno. Spesso però sono soli.
Professoressa, io non so rispondere a tutte queste domande ma di certo sono arrivata a una conclusione: in questa partita, purtroppo, abbiamo perso tutti. L’istituzione Scuola, gli insegnati, i genitori, i bambini.
Faccio alcune ricerche e scopro che Senigallia non è un caso isolato.
“A Lecco sciopero degli alunni per protesta contro un compagno violento - È accaduto in una classe di quarta elementare di Meratese” (Huffington Post del 20/09/2018). "Bimbo violento spaventa la classe. Ira dei genitori, figli via da scuola - Choc a Cinisello Balsamo: ieri la 3a elementare era vuota. A casa 19 bambini” (Quotidiano.net del 18/02/2017).
Che cosa sta succedendo? È naturale che ogni parte creda di fare il proprio meglio: i genitori cercano di tutelare i propri i figli, gli insegnanti provano a offrire a tutti gli alunni istruzione e accoglienza.
Che cosa sta andando storto? Ci deve essere qualcosa tra queste due parti che non funziona. C’è un dialogo vero? L’istituzione Scuola dov’è e cosa fa a tal proposito?
Riprendendo un po’ l’esperienza maturata nella mia pratica clinica, sembra di vedere due genitori in continua lite, in cui ognuno tira l’acqua al suo mulino per avere la meglio sull’altro. Dimenticandosi però di essere per prima cosa genitori, educatori, modelli per questi bimbi e non accorgendosi che nel mezzo della tempesta ci finiscono purtroppo i bambini, spettatori impotenti di questo logorante teatrino.
Perché allora, come succede a una coppia in crisi che si affida all’aiuto di un terapeuta, non si può pensare alla figura dello psicologo scolastico, quotidianamente presente in ogni scuola, che possa aiutare tutte le parti a costruire un dialogo?
Lei cosa ne pensa, Professoressa? Quanto mi piacerebbe saperlo.
Con affetto. E profondo amore per la Scuola.