VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

7 apr 2019

Sempre più coppie si bloccano di fronte al matrimonio

I promessi... non sposi

Che don Abbondio non fosse nato con un cuor di leone Manzoni lo scrive, pur convinto che, dopo l’incontro coi due bravi, il lettore deve essersene già avveduto. Ma che l’ordine di don Rodrigo – Questo matrimonio non s’ha da fare, né domani, né mai – sarebbe risuonato così potente anche ai nostri giorni, di sicuro non poteva immaginarlo. Eppure sembra proprio così. Questo matrimonio non s’ha da fare.

Niente numeri oggi, mi sono detto. No perché non siano significativi. Ma perché vorrei, con voi, ascoltare pensieri che stanno pervadendo aree della mente e stanze del cuore. Soprattutto nelle giovani generazioni. Pensieri ai quali, inconsapevolmente, rischiamo di aderire. Inconsapevolmente, cioè senza rendercene conto.

 

Mi capita spesso d’incontrare giovani coppie che non sanno decidere che strada seguire, e vanno avanti per forza d’inerzia. Si frequentano, si lasciano, si riprendono. Vanno a vivere insieme. Fanno anche un figlio. Due, magari. Ma loro? Quale progetto per loro? Procedono. Ma solo perché procede il tempo. E la domanda quando vi sposate? non trova spazio nella mente della coppia. Quando poi gliela fai, o ti guardano con gli occhi persi, o ti dicono, come fosse scontato, è uguale! Tu, lì per lì, non trovi la forza di andare avanti. Quando poi ti riprendi e ripeti uguale?, la risposta si limita a un mmh. Indeclinabile. Gli occhi di nuovo sullo smartphone. E Facebook corre in loro aiuto.

Grazie a Dio qualcuno ancora riesce a parlare. Allora riprendiamo la risposta – è uguale! – e proviamo ad ascoltarla, insieme, e ad entrarci. Tutti sappiamo, in realtà, che di fronte alla possibilità di scegliere, c’è sempre una ragione, a volte anche più d’una, che ci fa prendere una strada piuttosto che l’altra. Per di più, adesso, per una coppia ce n’è anche un’altra di strada. La Legge 76/2016, infatti, ha introdotto l’istituto delle Unioni Civili. Non solo per le coppie omoaffettive, ma anche per quelle eteroaffettive, con la possibilità di chiedere il riconoscimento come coppie di fatto.

Quindi la domanda diventa: Convivenza, Unione civile o Matrimonio?

Anche solo trent’anni fa il passaggio dal fidanzamento al matrimonio appariva naturale. Tanto che non poche coppie raccontano che dopo una storia piuttosto lunga, uno dei due, più spesso la donna – sempre più coraggiosa! –, diceva all’altro: o ci sposiamo o ci lasciamo. E a quel punto una decisione veniva presa.

Oggi arrivare al matrimonio sembra come dover salire una montagna. Ma non il Catria o il San Vicino, piuttosto un 8mila! Raggiungibile, forse, solo dopo tanto allenamento, con gli sherpa e la dovuta scorta di ossigeno.

Tante coppie, anche sposate, scoppiano. È vero. Non che prima non ci fossero crisi e sofferenza. Il tutto restava chiuso dentro le mura di casa. Meglio? Peggio? Mah. Le soluzioni sono diverse: le separazioni e i divorzi molto più frequenti. Ma il dolore della crisi è sempre dolore. Allora come oggi.

 

Cos’è dunque che spaventa i nostri giovani, trenta quarantenni, quando sentono la parola matrimonio? Eppure quasi sempre, una volta che iniziano a vivere insieme, decidono pure di chiamare un figlio con loro. Anche due, a volte. Ma di matrimonio non vogliono sentirne.

Allora mi chiedo: mettere al mondo un figlio non significa legarsi per sempre, sia con questo figlio, sia anche l’uno con l’altra? Perché allora rifuggire dal riconoscimento di questo legame. Dal riconoscimento sociale, visto che di fronte alla società, madre e padre di una nuova vita non hanno il timore di dirlo. È strano, coraggiosi e forti nel dirsi genitori, quasi don Abbondioil coraggio, uno non se lo può dare! – di fronte alle parole marito e moglie.

Giovani trenta quarantenni, cos’è che vi fa paura?

Non può essere il timore di una possibile separazione: se davvero fosse questo, allora dovreste darvi degl’incoscienti dal momento che al vostro bambino, nel metterlo al mondo, voi dite: noi per te ci saremo sempre. Cos’è che v’impedisce di prendere questa parola – sempre – e coniugarla anche tra voi? C’è forse un regalo più bello che la vita può farvi, più bello del potervi dire, l’un l’altro, io per te ci sarò sempre? Sposarsi non significa ‘semplicemente’ dirsi questo?

 

Guardate bene: è una balla dire che il matrimonio è la tomba dell’amore, del desiderio. Il desiderio, l’amore, la progettualità muoiono man mano che cominciamo a trascurarci l’un l’altro. Man mano che diamo per scontato che l’altro/l’altra c’è, e smettiamo di coltivarne la presenza.

 

Ah, e non venitemi a dire che non vi sposate perché non avete i soldi. Non tiene. È come nascondersi dietro il piro. Non sono lo sfarzo o i trecento invitati o l’abito da 7mila euro che faranno vivere il vostro amore. Ma questo lo sapete da soli...

 

 

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