VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

12 mag 2019

Tra diritti e conquiste. Riflessioni

L’aborto e la legge

Tre pensieri, oggi, vorrei sviluppare con voi. Mi piacerebbe che provassimo ad ascoltarci senza partire prevenuti, attribuendoci reciprocamente prese di posizione già preconfezionate. Chi non se la sente, si fermi pure qui. A chi vuol procedere, chiedo di arrivare fino in fondo. Io vi dico le mie riflessioni. Poi, chi vorrà, potrà dirci le sue e arricchire così il dialogo e il confronto.

 

Il primo pensiero.

L’aborto non è un diritto, né una conquista. L’aborto è una tragedia. Questo mi hanno insegnato le tante donne che nei miei oltre quarant’anni di professione mi hanno portato la sofferenza e il peso della colpa che le accompagnano da quando l’aborto è entrato nella loro vita. Non una è arrivata senza tenere con sé il dramma di questa terribile esperienza. Ripenso ad Anna, due figli: nonostante abbia già superato i settanta, non può ancora trattenere le lacrime ogni volta che il pensiero va ai tre aborti cui si è vista costretta dal marito, che non voleva altri figli né accettava possibili metodi contraccettivi.

Non è l’aborto un diritto. Diritto è che una donna non abbia a trovarsi nelle condizioni di non vedere davanti a sé altra strada. Diritto è che non debba subire la violenza di un uomo, solo perché fisicamente o socialmente o economicamente più forte. Che in una vita di coppia la sessualità sia vissuta in una relazione, reciproca, d’amore e di rispetto. Che la nascita di un bambino sia il frutto di un progetto. Costruito insieme con il proprio compagno di vita. Suo diritto è che la responsabilità di una gravidanza siano in due ad assumerla. Sia essa voluta e cercata, o risultato di un’imprudenza o, peggio ancora, di un atto di superficialità o d’incoscienza.

È un diritto della donna che i figli non siano solo della mamma. Ma che siano due i genitori che se ne prendono cura e se ne fanno carico.

Diritto di una donna è che di fronte a una gravidanza non debba sentire la minaccia, esplicita o anche solo adombrata, di perdere il lavoro. O di non potervi neppure accedere.

 

E il giorno in cui dovesse trovarsi nella situazione di non vedere altra strada che quella d’interrompere quella vita che sta nascendo dentro di lei, è suo diritto che non debba, da sola, reggere il peso di una simile decisione. È vero, il vissuto personale di un uomo e di una donna di fronte alla gravidanza non è lo stesso. La biologia risuona con intensità diversa in lei e in lui. E altrettanto diversamente nell’animo di ciascuno. Ma non possiamo noi uomini continuare a pensare che, per il fatto che è in lei che cresce quel bambino e che l’ultima parola è a lei che appartiene, noi, dopo aver detto la nostra, possiamo tranquillamente metterci da parte. Quel figlio nasce nell’incontro che entrambi abbiamo costruito. E non ci è permesso scansarci e scaricare su di lei tutto il peso di una decisione. Per non dire poi del senso di vigliaccheria e della vergogna che dovremmo sentire quando quell’incontro dovesse avere il colore della violenza o della sopraffazione.

 

Quando poi una gravidanza è stata interrotta, è diritto di una donna non vedersi condannata a priori, senza che neppure si conoscano le sue condizioni di vita in quel preciso momento. Il suo stato d’animo. Le ragioni che l’hanno portata a questo gesto estremo. Tanto più questo da parte di noi uomini. Più ancora da parte di uomini di religione.

 

Ora il secondo pensiero.

L’aborto non è un diritto, né una conquista. Ma la Legge 194 sì. Questa è la legge che permette di affrontare un’interruzione volontaria di gravidanza all’interno di una struttura sanitaria. Non raccontiamoci che è la legge che fa aumentare il numero di aborti: non è così. Questa evita soltanto che la donna, che si vede ‘costretta’ a questa decisione, debba rivolgersi a medici privati pronti ad approfittarne economicamente (cucchiaio d’oro), o addirittura a persone con nessuna competenza medica (mammane) che con mezzi artigianali e inadeguati praticano l’aborto alle ragazze o alle donne che vi ricorrono. Con il rischio, non infrequente, che la salute, perfino la vita stessa della donna siano messe in serio pericolo.

 

Un ultimo pensiero, infine.

La Legge 194/78 non ha bisogno di grandi cambiamenti. Ha bisogno di essere applicata. In entrambe le sue parti. Essa parla di Tutela sociale della maternità accanto e prima ancora che di Interruzione volontaria della gravidanza. E se sappiamo che non è in questa legge l’origine e la causa dei molti aborti, sappiamo anche bene, e lo sanno pure – spesso dimenticandolo – i nostri governanti, che sulla prima parte, Tutela sociale della maternità (garanzie nel lavoro, sostegno alle famiglie, servizi per l’infanzia, ecc.) di strada ce n’è ancora tanta e tanta da fare. E anche questo è un diritto. Della donna. Dell’uomo. E del bambino che deve nascere.

 

 

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