19 mag 2019
Una boccata d’aria. Perché anche l’anima possa respirare
La Bellezza e la Verità
Morii per la Bellezza, ero appena
Composta nella tomba
Che un altro, morto per la Verità, fu disteso
Nello spazio accanto
Mi chiese sottovoce perché ero morta
“Per la Bellezza” gli risposi
“E io per la Verità, le due cose sono una sola
Siamo fratelli” disse
Così, come parenti che si ritrovano di notte
Parlammo da una stanza all’altra
Finché il muschio raggiunse
Le labbra e coprì i nostri nomi.[1]
«Gli disse Pilato: “Cos’è la Verità?” e, detto questo, uscì di nuovo verso i giudei».[2] Una domanda senza risposta. Meglio così, forse. Perché la risposta costringerebbe a pensare. E pensare... non è di questo mondo. Il mondo che, soprattutto di questi tempi, arriva sempre più inquinato. E non solo per l’anidride carbonica. Inquinato dal veleno che, giorno dopo giorno, lasciamo immettere nelle relazioni umane da coloro che, invece, dovrebbero curare il bene comune del Paese.
Ma cos’è la VERITÀ?
Ci facciamo aiutare dalle parole che ci mettono a disposizione due popoli le cui culture sono la radice del nostro pensiero occidentale. L’antico greco e l’ancora più antico ebraico. I greci la dicevano alètheia, cioè disvelamento. Incontrare la verità è togliere il velo che copre e impedisce di vedere. È portare allo scoperto. Non nascondere. Conosciamo bene l’abitudine a operare sottobanco: intrighi, trame, imbrogli, corruzioni, tradimenti, inganni, ricatti... hanno bisogno di restare nascosti. La verità scioglie i lacci. E ci rende liberi.
Nella lingua ebraica due parole troviamo che, lette alla luce dei significati che essa dà alle lettere dell’alfabeto che le formano, ci mettono davanti a un panorama luminoso. Verità è emet. La parola è formata da tre lettere: la prima (aleph), quella centrale (mem) e l’ultima (tau) di tutto l’alfabeto. Ciò sta a significare che la verità è comprensiva del tutto. La verità è completezza. Non parzialità. È tutto. In opposizione ad essa c’è la parola sheqer che significa falsità. Le tre lettere (shin, qof, resh) che la formano sono nell’alfabeto l’una vicina all’altra: non c’è spazio. Non c’è respiro tra loro. Solo chiusura e angustia.
E nella tomba accanto, la BELLEZZA. Anche qui con un salto nel tempo ascoltiamo le parole che ci offrono le nostre due lingue amiche. Tob dice l’ebraico. Una parola che troviamo addirittura nel mito biblico delle origini. A conclusione di ogni giorno del suo lavoro, il Creatore vede che ciò che ha fatto è tob. Bello. Ma la parola significa anche buono. Perché bontà e bellezza per l’ebraico coincidono.
Lo stesso gioco che troviamo nella lingua greca. Kalòs bello e agathòs buono s’incontrano e si completano. Al punto che con Platone e successivamente con Aristotele troviamo una parola che le combina entrambe: kalokagathìa. Sono il kalòs e l’agathòs, il bello e il buono, che si prendono per mano e formano una sola parola. Un solo essere. Scrive Aristotele: «Buono-e-bello chiamano infatti chi è compiutamente bravo, cioè coraggioso e ha tutte le altre virtù. L’uomo bello-e-buono non è corrotto dagli altri beni, per esempio dalla ricchezza e dal potere».[3]
Ma le due cose – la verità e la bellezza – sono una sola, siamo fratelli si dicono, sommessamente, l’uno accanto all’altro, in un dialogo sospeso tra l’al-di-qua e l’al-di-là.
Ora i due, composti nella tomba, possono ascoltarsi. È scomparsa la fretta del tempo che corre. Non ci sono i mille impegni, reali e costruiti, che segnavano le giornate. Né ci sono i compiti della scuola, la palestra, la piscina, le feste e i compleanni, di figli o di nipoti che chiamavano e riempivano i pomeriggi. Liberi, finalmente, dagli slogan urlati dei politici. Dagli smartphone e tablet, con i loro luccichii, che imprigionavano gli occhi e le mani. E la mente.
Ora possiamo fermarci. E respirare. L’aria è pulita. Perché l’aria in cui siamo immersi è nel nostro cuore. Nella nostra anima. È quella che abbiamo saputo coltivare negli attimi di silenzio e di quiete che ci siamo concessi nelle giornate affannose che scandivano gli anni vissuti con i piedi appoggiati alla terra. Imprigionati spesso. Impediti di levarci, anche solo un po’, oltre le corse contro il tempo – che era sempre più veloce di noi. E non bastava mai. Prigionieri dei bisogni infiniti di cui sembrava non potessimo fare a meno.
Morii per la Bellezza, ero appena
Composta nella tomba
Che un altro, morto per la Verità, fu disteso
Nello spazio accanto
Mi chiese sottovoce perché ero morta
“Per la Bellezza” gli risposi
“E io per la Verità, le due cose sono una sola
Siamo fratelli” disse
Così, come parenti che si ritrovano di notte
Parlammo da una stanza all’altra
Finché il muschio raggiunse
Le labbra e coprì i nostri nomi.
Ora siamo nella PACE.
[1] Emily Dickinson
[2] Giovanni 18,38
[3] Grande Etica