VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

13 gen 2019

1° gennaio 2019: 52a giornata mondiale della Pace

Si vis pacem

Si vis pacem para bellum, dicevano i Romani. Se vuoi la pace, prepara la guerra. Così la pensavano. Questa era la loro storia. Questa la loro esperienza. E quando, finalmente, con Ottaviano si poté parlare di pax romana, non si può dimenticare che questa era risultato di decenni di guerre fratricide.

La buona politica è al servizio della pace, scrive Francesco indicando il tema di quest’anno per la 52a giornata mondiale della Pace.

 

Qual è la buona politica e dove trae origine? Prima ancora. Può un papa parlare di politica? Non deve la chiesa occuparsi di Dio, di santi e di religione? Faccia ognuno il proprio mestiere! Quante volte ce lo siamo sentiti dire, soprattutto in questi ultimi tempi. Da politici improvvisati, ministri tutto-fare, autoreferenziali salvatori della patria. Pronti a tirar fuori rosari dalla tasca o a far sfoggio di sé con il presepe in mano. E hanno ragione. Soprattutto se politica per loro significa giochi di partito, gare di sondaggi, slogan da fuochi d’artificio.

Ma se proviamo a restituirle quella dignità che aveva portato gli antichi greci a vedere nella politica l’arte del prendersi cura della vita della nazione, nel rispetto di ogni cittadino; se proviamo a riscoprirla come compito di ciascuno, in particolare di chi ha ricevuto il mandato di governare, appare del tutto logico vederla buona soltanto quando essa è capace di mettersi al servizio della pace. E se per quei nostri padri, ben oltre venti secoli fa, la polis era delimitata dai confini della piccola Atene o di Roma con il suo impero, oggi è l’intero pianeta la nuova polis che il nostro sguardo ha bisogno di comprendere nel suo campo visivo.

 

Non solo. Un’ulteriore apertura di sguardo, oggi, si rende necessaria. Credo stia maturando il tempo di far dialogare aspetti che nelle varie epoche e nelle diverse culture l’umanità ha costruito e coltivato: l’Eirène dei greci che era assenza di guerre, la Pax romana come stato di benessere materiale, la Shalom ebraica e la Sālam araba come augurio di benessere spirituale e l’Amore dei cristiani come scoperta della fratellanza tra appartenenti alla medesima e unica famiglia umana. È un dialogo complesso ma necessario se vogliamo oltrepassare il vecchio si vis pacem para bellum che ancora sembra imporsi come la legge cui chiediamo di reggere le relazioni tra i popoli e le nazioni. Perfino nei giorni di Natale ci siamo sentiti richiamare, dal capo di una grande potenza, addirittura la minaccia di una possibile guerra nucleare.[1]

 

Il punto, credo, è che la pace che viene da fuori dell’uomo non ha radici solide. Negli arsenali di guerra non c’è seme di pace. Dalla paura non nasce serenità. Né armonia. Sia tra i popoli e le nazioni, sia nelle relazioni tra persone. Come anche nell’animo di ciascuno.

È solo nel cuore che possiamo cercare e coltivare semi fecondi di pace.

Ma il problema è che lì vi troviamo un po’ di tutto. Così fatto è questo guazzabuglio del cuore umano, scrive Manzoni.[2] E Solženicyn vede che la linea che separa il bene dal male attraversa il cuore di ognuno. Poi però, lui che ha conosciuto la violenza del GULag, continua riflettendo che nel corso della vita di un cuore quella linea si sposta, ora sospinta dal gioioso male, ora liberando il posto per il bene che fiorisce. E se dal bene al male è un passo solo, ricorda citando un proverbio russo, dunque anche dal male al bene, conclude.[3] Con un pensiero di speranza.

 

Non può essere che questa, credo, la strada per costruire quella buona politica che è al servizio della pace. La politica di Gandhi nasceva dalla forza di bene che abitava il suo cuore. Il cammino interiore che ha tracciato la sua vita l’ha portato a cercare nella non-violenza l’energia necessaria per costruire il lungo processo di liberazione della sua India. Ed era il cambiamento del cuore quello che insegnava il Maestro di Nazareth quando, fin dagli inizi della sua attività, chiamava tutti alla conversionemetànoia nell’antico greco, da metà (oltre) e noèo (pensare): oltre-passare il proprio modo di pensare, cambiare il modo di ragionare, acquisire una nuova mentalità.[4] Quella che ci fa vedere nell’altro un fratello, figlio della stessa umanità. Con i medesimi diritti e la medesima dignità che riconosco a me stesso.

Cammino non facile. Il clima politico che stiamo respirando in questo periodo va in tutt’altra direzione. Lo sappiamo. Ma è buona politica?

Non è necessario aspettare i posteri per... l’ardua sentenza. Possiamo dirlo già adesso. Non è buona politica quella che porta un paese a chiudersi in se stesso, barricando porte e finestre, perché prigioniero della paura.

La buona politica è al servizio della pace.

 

[1] V. Putin, 20 dicembre 2018

[2] A. Manzoni, Promessi Sposi, cap. X

[3] A. Solženicyn, Arcipelago Gulag, 1973

[4] Cfr. Marco 1,15