VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

20 ott 2019

Ascoltando i vescovi al Sinodo sull’Amazzonia

Tra coraggio e paura

Se le novità portano sempre con sé un po’ di fascino, questo è sovente accompagnato anche dal timore. Dalla paura, a volte. O addirittura dal panico. Tanto più forte quanto più l’area su cui la novità arriva è antica e consolidata. Non mi sorprende se la novità è accompagnata da timore o da domande, che aiutano a comprenderne il significato e la funzione. Non mi piace, invece, quando in nome di presunte verità, alcuni personaggi si ritengono in diritto di emanare sentenze piuttosto che riconoscere semplicemente che ciò che dicono è il loro pensiero. Quindi, come tale, da ascoltare e da rispettare.

Mi riferisco a due temi che, accanto all’argomento centrale del Sinodo – la situazione drammatica dell’Amazzonia –, stanno emergendo a seguito della riflessione sullo stato della Chiesa brasiliana e latino americana. I due temi sono l’ipotesi di considerare la possibilità di ordinare sacerdoti anche uomini sposati, e l’altra, non meno dirompente per certi ambienti, di aprire il sacerdozio anche alle donne.

Ricordo che qualche anno fa, nel piccolo del nostro settimanale, quando provammo a toccare questi temi, mi sono arrivati caldi inviti ad evitare di avvicinarmi a simili argomenti.

 

Il sinodo sull’Amazzonia è aperto anche alla vita della Chiesa. Ai suoi problemi. Soprattutto in quelle terre, dove le distanze, l’isolamento delle popolazioni, la scarsità numerica di sacerdoti e i valori propri di quelle culture hanno permesso di aprire a domande che nel nostro mondo occidentale facciamo più fatica ad ascoltare.

L’eventuale apertura al sacerdozio di uomini sposati non è contro nessun dogma di fede e nessuna prescrizione del Maestro. E fa meraviglia che uomini di chiesa usino termini tanto inappropriati. Basta conoscere un po’ di storia per ricordare che per tutto il primo millennio nella chiesa c’erano preti e vescovi sia celibi sia sposati. Nessuno scandalo dunque se oggi ci si pone la domanda sull’opportunità di riaprire il sacerdozio a uomini che hanno famiglia. Paolo stesso, pur avendo scelto una vita da celibe, rivendicava il diritto ad avere con sé una donna credente, come fanno anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore e anche Pietro.[1]

“Nemmeno il papa può abolire il celibato dei preti” così la stampa riportava la dichiarazione di un cardinale che, per l’ufficio che in passato ha ricoperto, dovrebbe sapere che non è così. Una regola che ha posto la chiesa in una determinata epoca storica può esser mutata quando la chiesa stessa la ritiene non più adeguata ai tempi.

Sia chiaro, nulla è cambiato ancora. Se non una cosa: oggi se ne può parlare. I vescovi al Sinodo ne parlano apertamente. E non è cosa da poco.

 

Anche di un’altra cosa si può parlare: qual è e quale dovrebbe essere il posto della donna nella chiesa. I suoi compiti. Le sue funzioni. In Amazzonia ci sono suore cui tante persone chiedono di ascoltare una confessione. Preti non ce ne sono. Esse lo fanno. Ma non possono dare l’assoluzione. Riapriamo, così, il grande tema del diaconato e del sacerdozio riservato ancora, a mo’ di privilegio, ai soli uomini. E ancora una volta, ci vediamo costretti a constatare una prassi, consolidatasi lungo i secoli, sulla quale è difficile non cogliere un atteggiamento di grave infedeltà all’insegnamento di Gesù.

Nella sua comunità erano presenti sia uomini sia donne, nonostante lo scandalo che questo significava ai suoi tempi. Non solo. Ancora più dirompente è la scelta che fa il giorno della sua resurrezione: la persona cui dà il compito di portare la Buona Notizia (= il Vangelo) agli altri apostoli è una donna, Maria di Magdala. Solo successivamente incontrerà gli altri e affiderà anche a loro il compito di portare il Vangelo al mondo.[2]

Del resto non è questa la missione di un prete e di un vescovo, portare il Vangelo a tutti i fratelli? Dov’è scritto che questo compito è riservato ai soli uomini? In qualche documento della chiesa, sì.[3] Ma non è così nei Vangeli.

 

Molti ritengono che i tempi non sono ancora maturi perché cambiamenti così importanti possano essere attuati. Sicuramente significativo però è che apertamente se ne può parlare. Senza gridare allo scandalo. Sinodo docet.

Nell’area della psicopatologia, la clinica c’insegna che quando una sofferenza (interiore) può trovare la parola per uscire, non ha più bisogno di trasformarsi in sintomo. In malattia. La parola è curativa. Di questo abbiamo bisogno, anche nella chiesa: che temi pur difficili da affrontare, per la loro novità o perché vanno a toccare tradizioni consolidate da secoli, possano trovare la parola per essere detti. Per esser ascoltati. E perché si trovi la strada verso il rinnovamento. Quando questo si rivela necessario.

 

[1] 1 Corinzi 9,5

[2] Giovanni 20,11-25

[3] Ordinatio Sacerdotalis, 1994