24 mag 2020
Liberiamoci da pregiudizi culturali e religiosi
Bentornata Silvia
Sì, bentornata! Credo che queste siano le parole che ciascuno di noi può dire a una ragazza di 25 anni uscita dall’incubo di un sequestro durato diciotto mesi. 535 giorni. Li hanno contati. Prima fra tutti, li avrà contati lei. Anche con il rischio di perderne qualcuno. E di perdere pure qualcosa di sé, insieme a qualcosa di sé ritrovata.
Era partita Silvia. È tornata Aisha. (Aisha è il nome della terza moglie che Mohamed, il Profeta, prende, dice la tradizione, a 50 anni e lei ne ha soltanto 6 - o 13 secondo alcuni studiosi).
Il suo ritorno ci ha disorientati. Strano, chi non sarebbe felice di riabbracciare una figlia o una sorella dopo tanto tempo e dopo tutta la tensione e l’angoscia che l’hanno riempito? Eppure tra noi tanto disorientamento. Reazioni fuori posto. Indecenti perfino. Basta, fra tutti, l’intervento di un nostro parlamentare – uomo che, rappresentante del popolo, dovrebbe rivelarsi più onorevole di noi comuni cittadini (per i greci i rappresentanti del popolo erano àristoi, i migliori). Mercoledì, in parlamento, dopo aver speso parole in favore della ripresa delle funzioni religiose e aver osservato che “non bisogna essere scienziati del diritto... per capire che siamo stati e continuiamo ad essere in presenza di una volontà antireligiosa fortissima”, continua: “Poi però abbiamo osservato che quando è venuta la neo-terrorista, visto che si è risaputo che al-Shabāb, questo è e questo finanzia, sono andati ad accoglierla”. La neo terrorista, ovviamente, è Silvia. Parole di un parlamentare. Nel tempio della democrazia. I nostri padri greci sussulterebbero nella tomba. Ma prima di stracciarci le vesti, non dimentichiamo che i parlamentari... li scegliamo noi.
Cosa ci ha disorientati del ritorno di Silvia? Due segni, almeno. L’abito con cui si presenta già sulla scaletta dell’aereo e l’immediata dichiarazione dell’avvenuta conversione all’Islam. Lei rapidissima. Noi più rapidi di lei.
Ma noi e lei non siamo nella stessa condizione. Nessuno di noi esce da un sequestro-prigionia di diciotto mesi. Con terroristi che, pur di avere finanziamenti per i loro progetti di morte, non esitano a prendere una persona e a trattarla come pura merce di scambio. Sapendo bene il valore che per noi, loro interlocutori, ha una persona.
Magari qualcuno dirà che anche noi usciamo da una prigionia: due mesi di confinamento (che ci ostiniamo ancora a chiamare lockdown), chiusi in casa. Ma con una piccola differenza. Diciotto mesi tra terroristi e due mesi nelle nostre case. E siamo sfiniti, esausti. Non reggiamo più. Vogliamo uscire. Al punto che appena si è aperto un po’, molti subito fuori di corsa. In 60 giorni, nelle nostre case, abbiamo esaurito le riserve d’energia. Riusciamo a immaginare cosa possono essere 535 giorni, una ragazza, circondata da uomini incappucciati e fanatici? Uomini neanche troppo originali. Visto che l’uso della religione in un modo così disumano non è neppure una novità nella storia delle civiltà e delle culture. Pensiamo alle guerre di religione nella nostra Europa, alle crociate, o ai tempi e metodi dell’inquisizione. Con la benedizione della chiesa di allora.
Facciamo una cosa. Proviamo, adesso, a respirare. Noi prima. Fermiamo le nostre reazioni di pancia. Ritroviamo la capacità di condividere la gioia di riavere a casa una figlia. Di rallegrarci con lei che ce l’ha fatta. Di riconoscere il valore di chi sa spendere la propria vita, o una parte di essa, per dare una mano a chi sta peggio. Nel volontariato e nella disponibilità verso popolazioni meno fortunate di noi.
Lasciamo a lei il tempo di metabolizzare un’esperienza così traumatica e traumatizzante. E se adesso, per non morire a se stessa, ha bisogno di vedere Aisha quando guarda lo specchio, dov’è il problema? Se Silvia ha bisogno di riposare, di dormire pure, perché non possiamo accettarlo? Quando fra un po’, nella quiete ritrovata, s’incontreranno, ciascuna deciderà cosa fare dell’altra. Meglio, cosa fare con l’altra. In nome di chi o di cosa vogliamo impedire questo processo?
Sì, rimane un interrogativo aperto. I soldi del riscatto – se pure è stato pagato. Servono a finanziare un gruppo terrorista. Qui cittadini e politici abbiamo bisogno d’interrogarci. Ma anche chiederci chi di noi, se fosse nostra figlia, non pagherebbe o chiederebbe di pagare il possibile e l’impossibile pur di riaverla a casa.
C’è un punto che non mi va giù. Riportava la stampa che un portavoce di al-Shabāb (il partito dei giovani), parlando della conversione di Silvia, avrebbe detto che questa scelta è nata “perché ha sicuramente visto con i suoi occhi un mondo migliore di quello che conosceva in precedenza”.
Se un mondo migliore è quello di un’organizzazione terrorista che sequestra e uccide in nome di una religione... c’è poco da aggiungere!