VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

12 apr 2020

Possiamo dirci “Buona Pasqua!” se teniamo occhi e cuore chiusi?

Fuori dal coro...

Sì, oggi la mia voce sarà fuori dal coro. Non so pensare a Pasqua restando rinchiuso dentro la paura del Coronavirus. Perché così siamo messi. Coperti dalla sua voce, rischiamo di non vedere né sentire più niente. È Pasqua. Ma è davvero Pasqua per noi cristiani? Se vogliamo che lo sia, una cosa dobbiamo farla: pur confinati in casa, oggi usciamo a farci un giro, fuori, e alziamo il nostro sguardo. Sentirete come se andassimo su un altro pianeta... Ma non è così. Siamo sulla terra.

 

Ricordate il dramma di donne, uomini e bambini ai confini tra la Turchia e la Grecia? Appena un mese fa – sembra un secolo! – li vedevamo spinti dalla Turchia verso la Grecia e da questa respinti. In mare, picchiati, con motovedette che passavano vicino ai barconi quasi a provocarne un rovesciamento.

«Ci è stato anche insegnato a rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto. È per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero. Noi ad Atene facciamo così». Duemila400 anni fa così parlava Pericle ai suoi concittadini.[1] Parole che sembrano scomparse nel nulla. Dimenticate.

Ma attenzione a non equivocare: la Grecia non è solo la Grecia e Atene non è solo Atene. Oggi Atene è l’Unione Europea. E ciò che fanno le motovedette greche sono le nostre motovedette a farlo. Gli abitanti di Lesbo, l’isola a confine con la Turchia, sono cittadini europei. Siamo noi.

Non possiamo prenderci tutti i rifugiati del mondo, si dice. Certo. Prima gli europei. In Italia, ancora più chiusi nel nostro orticello, andavamo sbraitando Prima gli italiani!

Va bene. Adesso però guardiamoci due numeri. Escono dal recente rapporto Ipsos Flair: tra tutti i rifugiati internazionali, l’84% è accolto in paesi in via di sviluppo; il 13% entra nell’Unione Europea. Solo 13 rifugiati su cento vengono a casa nostra.

Niente da dire?

 

Prima di Covid19, in un intreccio di fatti che si alimentavano a vicenda, tra guerre, giochi politici, interessi economici, scoppiava il caso Turchia. Il presidente Erdogan, non certo maestro di democrazia o di rispetto dei diritti umani, apriva ai profughi dalla Siria i confini verso l’Europa. Per attenzione ai profughi? Per ragioni umanitarie? No. Semplicemente per spillare più soldi all’Unione. Lui fa i suoi interessi del resto. Nessuna meraviglia.

La domanda che mi pongo, invece, è un’altra. Cosa facciamo noi Europa. Perché secondo me qui casca l’asino. Noi, naturalmente, ci riteniamo migliori del sultano. Ma non stiamo facendo lo stesso gioco? Gioco sulle spalle dei profughi. Noi paghiamo la Turchia perché li trattenga dentro i propri confini. Sappiamo bene come stanno nei campi turchi. Ma non c’interessa: a noi interessa che questa gente non venga da noi. La stessa cosa facciamo con la Libia. Tutti i profughi che si muovono dal continente africano lì devono fermarsi. E ancora una volta noi, paladini della democrazia e difensori dei diritti umani, paghiamo perché li trattengano. Diamo loro perfino le motovedette che vigilino su chi cerca di scappare.

 

In che cosa noi, civili cittadini europei, eredi dell’antica Atene, siamo migliori di Erdogan o di Serraj o Haftar, i leader libici? Non è l’Europa la patria dei diritti umani? Sì, a chiacchiere. O, forse meglio, la patria dei nostri diritti umani. Ha ragione Erdogan a chiederci più soldi. Hanno ragione i libici a volere di più. In fondo ci fanno un servizio: difendono le nostre frontiere dai barbari invasori. Non dimentichiamo, però, che è solo il 13% dei migranti che viene in Europa. L’84% va nei paesi in via di sviluppo.

I turchi e i libici fanno il lavoro sporco. Li paghiamo per questo. Loro si sporcano le mani e permettono a noi di tenere le nostre pulite. Sappiamo bene come stanno i profughi in queste terre. Ma a noi importa qualcosa? A noi basta che non li facciano entrare in casa nostra. Poi cosa succede lì non è affar nostro. Mi chiedo dove stiamo con le nostre coscienze. Tranquilli. Occhio non vede...

In quest’ultimo mese abbiamo visto, sentito qualcosa nella stampa o nei tg? Forse che i profughi sono risparmiati dalla pandemia che costringe noi in casa? In quale casa loro possono rifugiarsi? Occhio non vede... Non vorrei che il Buona Pasqua! che oggi ci diciamo sia vuoto. E falso.

 

Un altro dato di Ipsos Flair: il 59% degli italiani, quindi più di uno su due, condivide la politica sbandierata dal nostro ex ministro degli interni d’impedire lo sbarco ai migranti soccorsi dalle Ong; e fra i cattolici praticanti, precisa l’Ipsos, questa percentuale di favore sale al 60%.[2] Cattolici praticanti. Che significa? Cosa pratichiamo? Magari andiamo a messa la domenica, facciamo la comunione. E ci diciamo anche Buona Pasqua! Ma la Parola del Vangelo? Forse ci è... scivolata dietro la porta della chiesa quando ne siamo usciti. La riprenderemo la domenica successiva, quando ritorneremo a messa. Così, di domenica in domenica. Cattolici praticanti...


Ci lasciamo con un pensiero. Il Buona Pasqua! che ci scambiamo oggi, noi che viviamo sicuri nelle nostre tiepide case[3], possa diventare un augurio vero. Con lo sguardo e il cuore capaci di guardare anche fuori.

 

[1] Tucidide, La guerra del Peloponneso

[2] Avvenire, 3 e 4 marzo 2020

[3] P. Levi, Se questo è un uomo